55 anni dalla strage di Gioia Tauro: il treno, il boato, il silenzio
Un viaggio trasformato in tragedia, 6 morti e 70 feriti
22 Luglio 2025 - 09:39 | di Redazione

Il 22 luglio 1970, a Gioia Tauro, il tempo si è fermato alle 17:10. Quella sera, un treno che portava con sé vite, sogni, ritorni e partenze, si è trasformato in un ammasso di lamiere contorte, fumo, grida, morte.
È passato più di mezzo secolo da quella giornata d’estate, eppure la memoria resta nitida come una ferita che non si rimargina. Il treno partito dalla Sicilia aveva attraversato lo Stretto senza sapere che, in Calabria, lo attendeva una trappola nascosta tra le rotaie.
Un’Italia divisa, una Calabria in rivolta: 55 anni dalla strage
Era un’estate calda, non solo per il sole che arroventava l’asfalto e i binari. Reggio Calabria era in rivolta per la scelta di Catanzaro come capoluogo di regione. Barricate, scontri, occupazioni, attentati. La tensione correva ovunque, lungo le strade, nelle stazioni, persino nei fili d’acciaio delle ferrovie.
In quel clima di paura e rabbia, il convoglio diretto a Gioia Tauro diventò bersaglio di un attentato vigliacco. Una piccola carica di esplosivo, posizionata con precisione chirurgica, aveva strappato via meno di due metri di binario. Tanto bastò per trasformare un viaggio qualsiasi in una tragedia.
La corsa si spezza, il boato, le urla
Poco dopo le 17, il macchinista sentì il primo sobbalzo. La locomotiva si agitò, il convoglio si scomponeva. I freni furono azionati, ma la corsa era ormai impazzita. Le carrozze si staccavano l’una dall’altra, si ribaltavano, si piegavano come carta. Alcune finirono a cavallo di altri binari, altre si adagiavano di traverso, altre ancora esplodevano in urla e lamiere.
Tra la nona e l’undicesima carrozza il destino fu il più feroce. Lì morirono in sei. Più di settanta rimasero feriti.
Chi sopravvisse raccontò una scena d’inferno: gente che saltava giù, cercava i propri cari, chiedeva aiuto. Fumo nero, odore di ferro bruciato e carne lacerata.
Una verità scomoda, nascosta per decenni
Le prime indagini cercarono risposte nel solito errore umano. I macchinisti finirono sotto processo, ma furono assolti. Anni di silenzio, depistaggi, omissioni. Solo oltre vent’anni dopo, un pentito di ‘ndrangheta, Lauro, raccontò quello che si sapeva e che nessuno aveva avuto il coraggio di scrivere nero su bianco: l’attentato fu organizzato dal comitato d’azione per Reggio Capoluogo. Un’esplosione voluta, pagata, eseguita.
I giudici lo scrissero chiaro: “Tardiva perché tardive furono le notizie e deviate furono le indagini”.
Oggi, a 55 anni da quella strage, Gioia Tauro ricorda in silenzio. Quel boato non fu frutto del caso. La Calabria ricorda. Sei morti, settanta feriti.
Resta il dolore di chi quel giorno ha perso qualcuno. Resta la storia, che chiede ancora di non essere dimenticata.