Beni confiscati, Falcomatà e Iachino: ‘Noi differenti dalle passate amministrazioni’

"Non abbiamo mai voluto evidenziare il mondo in cui, in passato, veniva gestito questo settore"


L’amministrazione comunale ha fatto il punto della situazione in merito al settore dei Beni confiscati, con particolare attenzione alle linee programmatiche e all’impegno dell’Ente anche sul versante dei percorsi di riforma in atto della normativa vigente nell’ambito del dibattito pubblico nazionale.

Una disamina a tutto campo esposta dal Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà e dalla consigliera comunale, già delegata alla gestione dei beni confiscati, Nancy Iachino, nel salone dei Lampadari di Palazzo San Giorgio.

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«Rispetto al passato e a quanto accadeva in altre stagioni amministrative in questa città, è in corso una certificata e certificabile operazione di ricostruzione di varie vicende legate a procedure di acquisizione e destinazione di beni», ha detto Iachino facendo un rapido excursus storico, “tuttavia noi non abbiamo mai voluto utilizzare questi aspetti, magari evidenziando il mondo in cui, in passato, veniva gestito questo settore.

Non l’abbiamo fatto perché non vogliamo che venga indebolito o, addirittura, considerato vano lo sforzo della restituzione alla collettività dei beni confiscati. Un messaggio distruttivo non di una parte politica ma di un mondo fatto di persone che da anni affermano, attraverso attività concrete, un sistema di valori e impegno civile che, di fronte a certe dichiarazioni, resta completamente spiazzato. Chi, semmai, gode nel sentir dire che i beni confiscati sono infiltrati dalla ‘ndrangheta, sono proprio i criminali».

Rispetto al presente, la consigliera ha poi sottolineato che “esistono fascicoli, carpette e procedure ben precise, in un contesto certo complicato con riferimento in particolare alle quattro tipologie che interessano questi beni: finalità istituzionali, abitative, sociali e di lucro.

Difficoltà che non scopriamo ora ma di cui siamo consapevoli da sempre. Difficoltà oggettive e che si legano ad una forte carenza di personale destinato a questo settore e che a Palermo, ad esempio, che in Italia gestisce il maggior numero di beni in Italia, annovera ben trenta dipendenti».

Reggio è stato il primo capoluogo sciolto per infiltrazioni mafiose ed è la città che, insieme ad altre realtà siciliane, detiene il numero più alto di beni sottratti alla criminalità organizzata. «Per noi, dunque, – ha spiegato il Sindaco Falcomatà – è stato prima di tutto un percorso culturale, guardando alla riqualificazione dell’immagine della città.

Un cammino che prima, in ambito nazionale, ci vedeva come quelli sciolti per contiguità mafiosa e che oggi in materia di beni confiscati parla di una città che si è dotata di un regolamento per la concessione di questi beni che come ha avuto modo di dire, solo qualche giorno fa, Libera, è un’eccellenza a livello nazionale sul piano dell’assegnazione e gestione da cui sono scaturiti anche scambi di buone prassi con altri Comuni italiani.

Un metodo che abbiamo esteso anche alla Città metropolitana: solo qualche giorno fa a Villa San Giovanni un immobile intitolato alla memoria di Giovanni Trecroci è stato consegnato ad una cooperativa e domenica a Gambarie vivremo un altro momento simile».

Deciso è anche l’impegno dell’amministrazione all’interno del dibattito nazionale in merito ai correttivi che richiede il quadro normativo. «E’ bene ricordare ad esempio – ha evidenziato Falcomatà – che l’articolo 34 del codice antimafia è stato scritto proprio a Reggio a valle di un consiglio comunale aperto sugli effetti delle interdittive antimafia su lavori pubblici, attività imprenditoriali e commerciali.

Un percorso riformatore che deve continuare e crediamo serva aggiornamento normativo per rendere più efficace l’attività di assegnazione e gestione dei beni. A cominciare dalla possibilità che le ricchezze economiche prodotte dalle confische dei patrimoni, non vadano a finire indistintamente nel Fug, come avviene oggi, ma vengano utilizzate secondo un ordine di priorità per le persone che hanno denunciato il racket, per le vittime di mafia e anche la riqualificazione dei beni che spesso sono inagibili.

Tutto ciò si collega ad una seconda idea che stiamo portando avanti, anche come Anci, ovvero un percorso fondamentale educativo rispetto all’assegnazione dei beni confiscati. Esistono ancora oggi molte realtà e molti sindaci che non vogliono sentir parlare di beni confiscati, lasciandoli inutilizzati e rendendo vano il vero obiettivo della legge Rognoni-La Torre, cioè la riassegnazione di quel bene che non è più simbolo della presenza mafiosa sul territorio».