Bilancio Comune, l’assessore Calabrò contrattacca: ‘Oggi possiamo dire di essere liberi da un debito ingiusto’

La titolare della delega al Bilancio: “La Corte dei Conti ci fa le pulci. Il Decreto del Governo porta il nome di Reggio”

Da parte sua l’assessore al Bilancio Irene Calabrò ha ricordato che l’amministrazione Falcomatà, oltre al debito certificato, ha ricevuto in dote anche un “bel pacchetto già confezionato”, rappresentato dal Piano di riequilibrio approntato dai Commissari e approvato dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti. Insomma non c’era la possibilità di intervenire su quello, che era il futuro già scritto di Reggio Calabria.

Un Piano insostenibile per l’assessore che ha inciso sull’esposizione debitoria e sull’andamento del rapporto tra l’amministrazione e i cittadini. L’amministrazione quel Piano lo ha rimodulato, ma il Piano spalmato in 30 anni fu bocciato dalla Corte. Ma l’indice la Calabrò lo rivolge alla Corte dei Conti calabrese.

“Rispetto alla sentenza n°115 del 2020 della Corte Costituzionale, voglio dire che è stata la Corte dei conti della Calabria a sollevare il vizio di incostituzionalità alla Consulta. Questo svela e rivela anche l’approccio che l’amministrazione ha dovuto avere nei confronti della sezione regionale della Corte dei Conti. Un approccio che per noi era di fiducia. Siamo andati a Catanzaro con la massima disponibilità, impegno e trasparenza per dare garanzie di futuro alla città. Purtroppo la Corte ha nei nostri confronti un giudizio e un atteggiamento molto critico, forse perché quel Piano di riequilibrio fatto dai Commissari non andava bene già dall’inizio, dal 2013. Per questo non ci meravigliano le numerose, ripetute, costanti deliberazioni della Corte che ha fatto le pulci ai nostri bilanci. Giustamente e correttamente. Gli uffici hanno sempre risposto, e lo faremo ancora. Però non potevamo accettare che la consapevolezza del lavoro che abbiamo fatto potesse svanire nel nulla, soprattutto sapendo che il Piano di riequilibrio decennale, oggi vigente, scade nel 2022. Cioè siamo quasi alla fine di un decennio e abbiamo rischiato di dover dire ai nostri concittadini che i sacrifici fatti non sono serviti a niente. Questa è una cosa che no potevamo accettare assolutamente. Il dissesto non è una scelta ma un dato di fatto. È una condizione che viene accertata tecnicamente, non è una volontà politica”.

La svolta, racconta accoratamente la Calabrò, è arrivata quando dal dirigente Consiglio è stata messa nero su bianco la constatazione che non c’erano le condizioni tecniche per approntare un Bilancio di previsione.

“Abbiamo percepito che eravamo ad un passo dal dissesto. Ma se è vero che la Consulta e la Corte dei Conti ci hanno messo all’angolo, è vero anche che quelle pronunce che ci hanno consentito di guardare oltre. Il Decreto agosto ottempera alle disposizione della sentenza n° 115/2020. Questo significa che non è l’amministrazione comunale ad ottemperare ma è il Governo che si sostituisce all’amministrazione e questo perché le sentenze vanno rispettate, ed è un dovere per il Governo interagire ed agire. Lo abbiamo sempre detto che era una partita che bisogna giocare ad alti livelli. La politica ha fatto tanto, ci ha messo la testa e il cuore. Ma la storia di Reggio Calabria l’abbiamo fatta noi, supportata da interlocuzioni, da rapporti, dal recupero di reputazione della città a livello ministeriale e governativo. Il ‘Decreto agosto’ porta il nome di Reggio Calabria perché la sentenza n° 115 è stata emanata contro Reggio Calabria. La nostra città sarà capofila di una serie di Comuni che in questi anni, con tante difficoltà, hanno dato prova di voler andare avanti”

L’assessore, quasi in preda all’emozione, riconosce alla politica di aver cercato di mettere i conti a posto

“per poter garantire alle generazioni future e alla classe politica che verrà dopo di noi, la possibilità di dire che siamo liberi da un debito ingiusto, perché nelle dinamiche, la storia del nostro Bilancio è scritta nelle carte giudiziarie, e non poteva finire così. Il Governo aveva chiaro cosa fare, e cioè che ai Comuni si dovevano dare dei soldi e non solo del tempo”.