Caronte&Tourist colosso occupazionale: come la 'ndrangheta interferiva nel mercato del lavoro

Le indagini hanno dimostrato come diversi clan hanno messo le mani sui traghetti dello Stretto. Dipendenti 'portatori di interessi'

Protocolli di legalità dal sapore autoreferenziale oltre che di scarsa efficacia, affari consolidati da anni che continuano a produrre effetti nonostante le trasformazioni societarie, assunzioni stabilite a tavolino con corsia preferenziale per i nomi suggeriti dal clan.

La ‘ndrangheta non era riuscita a gestire fino in fondo la Caronte & Tourist ma – sostengono i giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio che mercoledì ne hanno disposto l’amministrazione giudiziaria per i prossimi sei mesi –  era comunque riuscita a infiltrarsi nell’organigramma societario, finendo per accaparrarsi, questa l’ipotesi della distrettuale antimafia, una serie di appalti estremamente remunerativi e finendo per condizionare una parte del mercato del lavoro nell’area dello Stretto.

UNA STORIA IN EQUILIBRIO

Sono diverse le indagini della magistratura reggina che in passato hanno sottolineato le “convergenze” tra la vecchia società della Caronte, di proprietà della famiglia Matacena, con l’apparato criminale calabrese. Una storia più volte raccontata da diversi collaboratori di giustizia che legavano il capostipite Amedeo Matacena – padre dell’ex parlamentare Amedeo Jr, tuttora latitante a Dubai – agli interessi dei clan e che viene confermata nel decreto del tribunale.

«È possibile affermare che nel corso degli anni i vertici della società Caronte & Tourist spa – scrivono i giudici – abbiano sempre trovato un “equilibrio” con le suddette cosche di Villa nonché con altre operanti in tutte le zone della provincia reggina».

Ed è il collaboratore Liuzzo a descrivere i contatti frequenti e conviviali che il vecchio imprenditore napoletano trapiantato a Reggio avrebbe intessuto, negli anni, con il ghota della criminalità organizzata reggina.

«Camminava senza scorta – racconta ai giudici Liuzzo – perché Pasquale Condello assieme a Diego Rosmini e tramite Gambazza (Antonio Pelle, ndr) avevano mandato a dire che Matacena è intoccabile. Dove andava mangiava, andava ad Africo e andava a mangiare, andava a San Luca e andava a mangiare, andava a Gioia Tauro e andava a mangiare».

Un rapporto intenso e continuativo quello rappresentato dai collaboratori di giustizia tra Matacena senior «che era persona seria più del figlio e che aveva dato delle garanzie reali» e i vertici di alcune delle famiglie più influenti della zona.

«Rapporti  – annotano ancora i giudici – che mal si conciliavano con l’idea dell’imprenditore vittima ma apparivano piuttosto espressione di una compiacente contiguità ed erano finalizzati anche a soddisfare le ambizioni elettorali del predetto».

LAVORO SOTTO SCACCO

Ma quello che più sgomenta dal racconto dei collaboratori di giustizia è la capacità della ‘ndrangheta, negli anni passati, di interferire nel mercato del lavoro di una zona economicamente fragile come quella dello Stretto.

La Caronte & Tourist infatti rappresenta un vero e proprio colosso occupazionale – più 1800 i posti di lavoro tra quelli diretti e quelli legati all’indotto nei comuni di Messina e Villa San Giovanni, dice un report rilasciato dalla stessa società nel 2017, che coprono quasi il 2% dell’intera forza lavoro della zona – che più di una volta si sarebbe piegato alle logiche delle ‘ndrine che ne veicolavano le assunzioni.

«Tutto ciò aveva evidentemente delle ripercussioni in termini di assunzioni – scrivono ancora i giudici nel decreto che dispone l’amministrazione giudiziaria – dal momento che gran parte dei posti di lavoro erano riservati a personaggi segnalati dalle varie ‘ndrine, con un sistema che teneva conto del peso di ogni singola consorteria, fermo restando che ulteriori posti di lavoro potevano essere, di volta in volta, assicurati a singoli referenti di ndrangheta, in ragione di motivi particolari».

Una situazione che aveva portato Buda e Passalacqua a consolidare posizioni privilegiate sia nell’organigramma interno dell’azienda, sia nei servizi di ristorazione, vendita dei biglietti e pulizia delle navi che fanno la spola tra le due sponde dello Stretto e che sarebbero stati  subappaltati ai due indagati, ritenuti organici della cosca Buda-Imerti e a altri personaggi a loro riconducibili. Poi, negli anni successivi, la fusione tra la società messinese della Tourist Ferry Boat e quella calabrese della Caronte che rimescola le carte e che avrebbe dovuto, almeno sulla carta, cambiare le cose.

«Nessuno si è lamentato anche se c’è stato quel cambiamento – racconta ancora il pentito – hanno messo le macchinette, ma chi le fornisce le macchinette»?

Il (complicato) compito dell’amministrazione giudiziaria che guiderà l’azienda nei prossimi sei mesi, sarà verificare la gravità delle infiltrazioni e sanare le irregolarità riscontrate dagli inquirenti per salvaguardare uno dei maggiori sbocchi occupazionali dell’intera provincia.