Come sono finiti in fondo al mare i Bronzi di Riace? Il racconto di Alberto Angela

Una pagina di storia piena di fascino e di mistero è narrata fra le pagine del libro che il noto divulgatore ha dedicato ai due guerrieri simbolo della città di Reggio Calabria

Fra tutte le statue che si sono pervenute dal mondo antico i due meravigliosi Bronzi di Riace sono quelle che più hanno colpito ed entusiasmato il pubblico. Perché? Certamente, all’origine del loro “successo” ci sono la bellezza straordinaria e la pregevolissima fattura del Giovane e dell’Uomo matura. Ma non solo. A contribuire al loro fascino, è anche l’aura di mistero che li avvolge. Sarà probabilmente per questo che uno dei più noti divulgatori scientifici ha scelto, nel cinquantenario del loro ritrovamento di dedicargli un libro.

Alberto Angela ha scritto il “romanzo” dei Bronzi di Riace: la nascita, il viaggio, il destino di due immensi capolavori. Un racconto in piena regola che narra l’avventura di due eroi restituiti dal mare.

I Bronzi di Riace, l’avventura dei due eroi restituiti dal mare

Proprio partendo dalle numerose domande rimaste aperte, Alberto Angela prova in questo libro appassionante a farci rivivere, passo dopo passo, la storia dei due guerrieri simbolo della città di Reggio Calabria, ma noti in tutto il mondo. Ci accompagna nell’epoca e negli ambienti da cui presumibilmente provengono, va alla ricerca dei loro autori e cerca di immaginare chi potessero raffigurare questi due splendidi personaggi maschili.

Con le doti di divulgatore che lo hanno reso famoso, Alberto Angela intesse un racconto avvincente su due capolavori che il mare ci ha restituito ancora splendidi, senza però svelarcene tutti i segreti.

Alberto Angela Bronzi Riace 1

Come sono finiti in fondo al mare?

Lo straordinario viaggio nel mondo dei Bronzi di Riace inizia centinaia, anzi forse migliaia, di anni fa, a bordo di un veliero che cerca disperatamente di sopravvivere tra le onde di un mare in tempesta, il Mar Ionio, di fronte alla costa orientale della Calabria.

“Forti venti di burrasca – si legge nelle pagine del libro scritto in collaborazione con “Calabria Stroardinaria” – si sono alzati da sud-est e sollevano ondate mostruose, alte fino a 6-7m, che si riflettono come montagne negli occhi sbarrati dalla paura dei marinai. Tempeste così violente e devastanti non sono rare in questo tratto di costa: lo Ionio, infatti, è uno dei bacini più estesi del Mediterraneo, oltre che il più profondo, ed è in spazi di mare aperto come questo che gli elementi si scatenano con maggiore veemenza. I litorali che si affacciano su questo bacino, quelli delle attuali province di Reggio Calabria e di Messina sono i più esposti alla furia distruttrice delle violente mareggiate, ma anche delle piogge torrenziali. […] È abbastanza comprensibile quindi, che, agli occhi degli antichi, tempeste tanto furiose fossero l’espressione dell’ira di una divinità…

Forse è proprio questo che stanno pensando i marinai a bordo del nostro veliero, mentre lottano con tutte le loro forze per governare l’imbarcazione e non lasciarsi travolgere dalle ondate di acqua gelida che toglie il respiro: che un implacabile dio del mare si stia accanendo contro di loro, proprio come aveva fatto con Ulisse nel suo lungo e tormentato viaggio di ritorno verso Itaca. E magari si stanno chiedendo cosa possono aver fatto per suscitare la collera divina: è forse il carico che trasportano ad aver attirato su di loro la sventura?

Non conosciamo l’inventario di tutto ciò che si trova a bordo, ma sappiamo che una parte del carico ha un valore enorme: sono le due possenti statue bronzee oggi note in tutto il mondo come i Bronzi di Riace. Viaggiano adagiate sulla schiena, sul ponte della nave, e forse proprio per facilitare il trasporto, prima di caricarle a bordo sono stati rimossi gli scudi e gli elmi e le lance che le adornavano.

Sotto i piedi dei due Bronzi spuntano ancora i “tenoni”, cioè i perni in piombo che li ancoravano ai loro basamenti originari: chi ha strappato le statue con tanta violenza dai loro piedistalli, e perché? Forse si trovavano in un tempio, o in un luogo sacro e non è difficile immaginare che nella mente di questi marinai dell’antichità, notoriamente molto superstiziosi, si sia insinuata la convinzione che la burrasca sia stata inviata dalle divinità per punire questo “furto” sacrilego. Forse, tra loro, qualcuno si è convinto che l’unico modo per placare la furia divina sia gettare le stauta in mare, come un’estrema offerta per avere salva la vita”.

Quella riportata nel libro, Angela lo sottolinea, è chiaramente una ricostruzione immaginaria.

“Non sappiamo nulla di quegli uomini e di quella nave. Possiamo forse immaginarcela come quelle rappresentate nei meravigliosi mosaici del Foro delle Corporazioni a Ostia antica o sui bassorilievi della Colonna Traiana a Roma. Però non conosciamo la data in cui ha intrapreso il suo ultimo, fatale, viaggio; non conosciamo il nome del veliero né del suo armatore né di alcun membro dell’equipaggio, Non sappiamo nemmeno che lingua parlino tra loro gli uomini a bordo: latino? Greco? O forse un qualche dialetto goto, come i popoli germanici che invasero l’Italia negli ultimi anni dell’Impero romano d’Occidente?

In realtà, non sappiamo esattamente neppure quale rotta la nave stia percorrendo. Forse è salpata da un porto greco ed ha compiuto tutta la traversata del Mar Ionio, per poi essere sorpresa dalla tempesta prima di riuscire a raggiungere le coste italiane. O forse è partita da uno dei grandi centri della Magna Grecia e sta seguendo una rotta di cabotaggio, sottocosta, di porto in porto, ma pur non trovandosi lontano dalla spiaggia non è riuscita a mettersi in salvo. Quale che sia il porto di partenza, possiamo immaginare con buon senso (ma anche qui nessuna certezza) dove la nave sia diretta: l’Italia tirrenica, e con ogni probabilità Roma. E chissà a chi è destinato il suo prezioso carico. Non lo sapremo mai. L’unica cosa che sappiamo, invece, è che questo straordinario carico non è mai giunto a destinazione: è finito – tutto o in parte – sul fondo dello Ionio. Dunque la furia del mare ha avuto la meglio? È probabile che sia andata così. Alcuni studiosi ipotizzano che lave abbia fatto naufragio a poche centinaia di metri dalla costa calabrese e dalla salvezza. Ma anche questa eventualità è avvolta dal mistero, perché – a differenza di altri casi simili verificatisi nelle acque del Mediterraneo – il relitto non è mai stato ritrovato.

Il mancato ritrovamento dei resti del veliero sul fondale dove giacevano i Bronzi ha fatto supporre ad alcuni esperti che siano caduti in acqua a causa del violento rollio, nei momenti più drammatici della burrasca. C’è anche qui, come il prof. Nino Lamboglia, ha ipotizzato invece che le due statue siano state gettate intenzionalmente in mare per alleggerire l’imbarcazione, in un ultimo tentativo di non affondare”.

Ma se così fosse stato, perché le due statue non sono state successivamente tirate fuori dal mare? La tecnica del ripescaggio, infatti, era cosa comune all’epoca.

“Si tratta soltanto di ipotesi – spiega ancora Alberto Angela – ma è tutto ciò di cui disponiamo oggi per spiegare come i Bronzi di Riace siano finiti sul fondo dello Ionio. Solo il mare custodisce la verità su questa pagina di storia piena di fascino e di mistero, così come ha custodito per secoli e secoli le due statue, permettendo che giungessero fino a noi”.

Alberto Angela

Nato a Parigi nel 192, di formazione naturalista e paleontologo, è giornalista e divulgatore scientifico. È autore e conduttore di programmi televisivi di straordinaria popolarità, come Ulisse: il piacere della scoperta, Stanotte a…, Meraviglie: la penisola dei tesori e Passaggio a Nord Ovest.

Fra i suoi libri, tutti bestseller Rizzoli ricordiamo Viaggio nella Cappella Sistina (2013), San Pietro (2015), Gli occhi della Gioconda (2016) e I tre giorni di Pompei (2018).