‘Ndrangheta, omicidio Migrone: arrestati tre uomini ritenuti i responsabili

Il movente sarebbe legato a una vendetta personale per presunte molestie che l’imprenditore avrebbe commesso nei confronti di uno degli arrestati

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Tre delle 18 persone arrestate nell’operazione antimafia condotta questa mattina dai Carabinieri di Crotone sono accusate di omicidio.

Si tratta di Giuseppe Spagnolo (56 anni), Martino Cariati (45) e Franco Cosentino (51), ritenuti responsabili dell’omicidio dell’imprenditore Francesco Migrone, avvenuto il 9 aprile 2003. Il movente, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe legato a una vendetta personale per presunte molestie che l’imprenditore avrebbe commesso nei confronti di uno degli arrestati.

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Le accuse e i collegamenti con le cosche

Le altre 15 persone coinvolte nell’operazione sono accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, mentre per altri tre indagati è stato disposto l’obbligo di dimora.

L’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, rappresenta la prosecuzione delle operazioni Stige e Ultimo Atto, che negli anni scorsi avevano inflitto duri colpi alle cosche di ’ndrangheta del territorio crotonese.

La consorteria coinvolta, nota come “Locale di Cirò”, avrebbe dimostrato — nonostante i numerosi arresti — una sorprendente capacità di riorganizzazione, grazie all’appoggio di veterani, nuove leve e familiari di affiliati già detenuti.

Le indagini e le attività criminali documentate

L’inchiesta si è sviluppata grazie alle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, oltre che attraverso intercettazioni, pedinamenti e attività tecniche, che hanno consentito di ricostruire una rete criminale ancora attiva tra i comuni di Crotone, Cirò, Strongoli e Cariati.

Gli investigatori hanno documentato:

  • estorsioni e tentativi di estorsione ai danni di imprese impegnate in lavori pubblici, incluse opere finanziate con i fondi del PNRR;
  • richieste di denaro a esercizi commerciali, stabilimenti balneari e ristoranti, costretti a pagare il “pizzo” per poter lavorare;
  • controllo delle aste giudiziarie, con l’obiettivo di impedire la partecipazione di imprenditori non graditi alle cosche;
  • intimidazioni e danneggiamenti nei confronti di chi si opponeva al sistema mafioso.

Secondo gli inquirenti, l’attività della cosca conferma «una persistente capacità di controllo e condizionamento del territorio», capace di adattarsi anche alle nuove opportunità economiche generate dai fondi pubblici.

Fonte: Ansa Calabria