Doppio Sogno – Le ‘Sette Anime’ di Muccino e le lacrime facili
16 Settembre 2018 - 18:54 | di Pasquale Romano

Dopo La ricerca della felicità, secondo film americano per Gabriele Muccino, che ancora una volta affida a Will Smith i panni del protagonista. In Seven Pounds (Sette anime il titolo italiano) film uscito nel 2008, Smith è Ben Thomas, un uomo d’affari in piena crisi, alle prese con un’esistenza sgretolata.
L’inizio (della fine) per il protagonista si verifica quando a causa di un tremendo incidente stradale perdono la vita sette persone, tra cui la moglie. Il tormento di Ben, apparentemente senza via di uscita, potrà dirsi finito solo con un piano che egli ha lungamente elaborato, e che vedrà cambiare radicalmente la vita, ancora una volta, di sette persone.
Cosi come il precedente La ricerca della felicità, anche Seven Pounds vede al centro della storia un uomo in difficoltà, dal presente tutto in salita ma uguale cornice, diverso sfondo.
Il protagonista si ritrova a convivere, giorno dopo giorno, con la lacerante sensazione di essere un uomo completamente inutile, di aver già compiuto il proprio dovere in questo mondo, e di averlo fatto ormai solo in senso irrimediabilmente negativo.
Un insostenibile “pesantezza” dell’essere, potremmo dire. La ricerca della felicità qui, è impossibile da soddisfare, consapevole della sconfitta, perenne coscienza della realtà. Gli americani, pubblico e critica, dimostrano di non avere mezze misure: dall’eccessivamente osannato La ricerca della felicità, (certamente un buon film ma non il capolavoro dal sapore neorealistico con il quale è stato dipinto) alla stroncatura, ingiusta, di Seven Pounds.
A deludere gli spettatori più frettolosi, forse, sarà stato il finale, non pienamente “hollywoodiano”, nelle scelte e nei tempi, e che invece appare dignitoso e rispettoso nei confronti del resto della storia.
Dove gli americani potrebbero trovare appiglio è nella sceneggiatura, la parte meno riuscita del film.
Il soggetto di Grant Nieporte, esordiente come sceneggiatore per il grande schermo, è zoppicante. Nieporte si è ispirato ad una storia vera, quella di un impiegato Nasa oppresso dai sensi di colpa per la morte di sette astronauti. Lo script tende al teatrale, nel senso “materiale” del termine. La storia è forte, penetrante e commovente, ma certamente non brilla per credibilità o omogeneità di scrittura.
Anche il dolore, la disperazione, la sensazione di un destino compiuto triste e definitivo, potrebbe emozionare in maniera maggiore, palesarsi come cupo sottofondo, invece di lanciare qua e là brandelli di ottimismo fuori luogo.
Davanti alla sceneggiatura si erge, imponente, la regia di Muccino; il regista italiano conferma in modo definitivo il suo enorme talento, vanto da ostentare agli occhi degli americani sempre così auto-incensatori.
La poetica maestosa di Muccino (intaccata anche nell’invadente e corrosiva Hollywood) rigenera una scrittura efficace ma difficoltosa da mettere insieme, in alcuni momenti valida ma allo stesso tempo nata già imperfetta. Will Smith, che continua nel suo percorso graduale di attore sempre più drammatico, supera l’esame, ma senza lode.
Smith è l’ennesima conferma che mentre buoni attori si diventa, con studio e abnegazione, fenomeni si nasce, è raggiungere le vette recitative, richieste per poter esaltare ruoli come questi, è permesso solo a pochi eletti. Sorprendente, e in quest’occasione più brava del collega, si rivela Rosario Dawson, attrice sino a qualche tempo fa scambiata per solita bellona tutta curve e zero talento.
La Dawson, in un ruolo apparentemente fuori dalle sue corde, si rivela invece impeccabile nel rappresentare la fragilità estrema, che sia fisica o d’animo, e donarle la giusta dolcezza, insicurezza e sobrietà.
In definitiva, Muccino convince, meno il film che ha scelto di girare. Forse spinto dall’onda entusiastica del film precedente, il regista ha cercato di continuare su quella falsariga, ripresentando uno Smith in chiave drammatica e dei lacrimoni facili da far scappare.
Come diceva Einstein, la verità sta in mezzo. Nel caso di Seven Pounds, la risposta più verosimile è un compromesso tra quella sprezzante degli americani, e quella più convinta ed entusiasta degli europei.
Seven Pounds era stato presentato come un fac-simile di 21 grammi, e in alcuni tratti sembra anche ricordarlo, ma il paragone appare improponibile, relegando il ricordo ad una ben più fiacca scopiazzatura di seconda lega.
Al contrario del capolavoro di Inarritu manca soprattutto una struttura forte e convincente, che accompagni per mano i protagonisti attraverso il delicato e dolorosissimo percorso della disperazione, dello sconforto e della redenzione.
Colpa questa non da addebitare al regista nostrano, ma semmai allo sceneggiatore esordiente, Grant Nieporte. In ogni caso Muccino ha creduto e firmato il progetto, che sarà ricordato come un passo avanti (anche se con andatura titubante) del suo percorso hollywoodiano.
di Pasquale Romano – *’Doppio Sogno’ è la rubrica cinematografica di Citynow. Le ultime novità in sala ma anche film recenti e del passato, attori e registi che hanno fatto la storia del cinema. Racconti, recensioni, storie e riflessioni sulla Settima Arte.
