Eyphemos: così 'Rocchellina' Laurendi aveva costruito il suo impero

Società fittizie e finti imprenditori: la scalata del boss all'ombra di Alvaro

Società fantasma, aziende costruite come scatole cinesi, imprenditori fittizi e commercialisti compiacenti: nelle carte della nuova operazione della polizia di Reggio coordinata dall’antimafia dello Stretto c’è l’intero campionario della ‘ndrangheta imprenditrice, che entra sul mercato e, con le carte truccate, lo trasforma nel suo personale pascolo economico. Una storia che si ripete secondo un copione già visto e che, nonostante le innumerevoli operazioni dell’autorità giudiziaria, continua a inquinare quello che resta del mercato “pulito” nella provincia e non solo, visto che il principale indagato di “Eyphemos II”, Domenico “Rocchellina” Laurendi, era riuscito ad allargare il suo giro d’affari a tutto il Paese grazie anche ai contatti che, sostengono gli inquirenti, era riuscito a crearsi nel mondo che conta.

ALL’OMBRA DEGLI ALVARO

Dici Laurendi, leggi Alvaro: era la famiglia egemone sul versante tirrenico d’Aspromonte a muovere le file dell’imprenditore che, racconta la prima tranche dell’indagine, era riuscito a ritagliarsi un posto nel cuore – e nel portafoglio – di Cosimo Alvaro, aka “pelliccia”, uno dei presunti boss di rango più alto in seno alla ‘ndrina che partendo da Sinopoli ha scalato negli anni, le gerarchie criminali della ndrangheta calabrese. Un legame così solido quello di Laurendi alla cosca degli Alvaro, che è lo stesso indagato a farsene vanto; intercettato dalle forze dell’ordine, l’uomo rivendica infatti la propria appartenenza alla “famiglia”: «Voi lo sapete che sono di Sinopoli – dice Laurendi senza immaginare di essere sotto controllo – andate e parlate, ma si può sapere che cazzo volete, gli ho detto, statevi attento».

GLI AFFARI PRIMA DI TUTTO

Laurendi non è uno sprovveduto, sa che sul suo patrimonio, vista la sua riconosciuta caratura criminale, pende il rischio continuo di un intervento della magistratura. È consapevole del rischio e, sostengono i magistrati della distrettuale antimafia di Reggio Calabria, fa di tutto per nascondere le proprie ricchezze ai controlli delle forze dell’ordine. «Questo suo allarmante infiltrarsi in appalti di ogni natura – scrive il Gip nell’ordinanza di arresto – questo costruire aziende ed imprese come filiere, questo suo muoversi ed operare con abilità su tutto il territorio nazionale sono espressione significativa del fatto che tanta ricchezza nasconde necessariamente crimini e che essa non potesse essere giustificata lecitamente, tanto imponendogli schermature e trasferimenti fraudolenti». E ad essere schermato, considerato il volume di affari a cui gli investigatori hanno messo i sigilli, era un patrimonio imprenditoriale di tutto rispetto che l’indagato, scrive ancora il Gip, avrebbe messo insieme grazie alla sua spregiudicatezza garantita dal supporto di una famiglia pesante come quella degli Alvaro: «Evidentemente, il Laurendi che commercia droga di qualsiasi qualità, che commercia in armi anche da guerra costituendo veri e propri arsenali, che consuma estorsioni ai danni di imprenditori ha accumulato profitti illeciti che ha dovuto necessariamente reimpiegare e o ha fatto attraverso vere e proprie scatole cinesi immobiliari e imprenditoriali». Un impero imponente che Domenico “Rocchellina” Laurendi, attraverso un giro di compiacenti teste di legno e di ancora più compiacenti professionisti, aveva curato nei minimi dettagli, tanto che alcuni dei suoi sodali si fanno sorprendere da una cimice delle forze dell’ordine mentre gliene riconoscevano “i meriti”: «Questo Rocchellina sta facendo passi da gigante… una volta stuzzica uno, una volta stuzzica un altro, e gli sta facendo le scarpe a tutti».