Grande successo a Reggio Calabria per la presentazione di "Moderne Odissee"

Questa suggestione significativa apre il volume, pervade ogni pagina, attraverso la quale Antonio Morabito intreccia riflessioni e aneddoti personali

L’esilio di chi vorrebbe tornare ma non può e l’esilio di chi parte per non voltarsi mai più indietro. Un’erranza di omerica memoria che ci interroga sui grandi temi: il diritto a cambiare il proprio destino quando la guerra, la fame, la povertà, l’assenza di opportunità lo privano di luce; la condizione dell’Ulisse moderno, nostalgico e coraggioso, che parte con uno scopo e che poi, pure desiderandolo con tutto se stesso, stenta ad orientarsi di nuovo,  alla ricerca di un proprio posto del mondo. Segna profondamente la storia del mondo questa mobilità di popoli, uomini, donne, giovani e bambini, questa condizione di fragilità che ci accomuna tutti, in misure e modi differenti e anche se non siamo disposti a riconoscerlo. Un fenomeno connaturato con la Storia e che oggi si vorrebbe ridurre ad una mera problematica afferente alla sola sicurezza, e non anche alla dignità, al diritto alla vita e alla speranza, in un mondo coinvolto in trasformazioni talmente profonde da non poterle fermare con politiche legate esclusivamente alla definizione dei confini.

Questi sono stati solo alcuni degli spunti emersi in occasione della prima presentazione del nuovo libro di Antonio Morabito, scrittore e diplomatico originario di Gallina, intitolato “Moderne Odissee. Viaggio consapevole tra gli irrisolti drammi e i profondi cambiamenti del nostro tempo” (Albatros Edizioni), con prefazione del giornalista Roberto Messina. Su impulso della fondazione Giuseppe Marino, nella gremita sala Francesco Perri di palazzo Alvaro, sede della Città Metropolitana di Reggio Calabria, hanno conversato con Antonio Morabito il sindaco Metropolitano di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, e il direttore della Caritas diocesana Reggio Calabria-Bova, don Nino Pangallo. Sono intervenuti il consigliere metropolitano Demetrio Marino e il presidente della fondazione Giuseppe Marino, Antonio Marino. L’incontro è stato scandito dalle letture di alcuni brani del libro a cura delle attrici Gisella Rescigno e Simona Surace, della scuola teatrale Parhos del maestro Antonio Caracciolo, e da numerosi interventi del pubblico.

Di formazione cattolica, laureatosi in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma, Antonio Morabito inizia la sua carriera diplomatica nel 1986 presso il ministero degli Affari Esteri. Da membro della delegazione italiana all’assemblea delle Nazioni Unite il passo verso la nomina di Console italiano in Argentina è breve. Da lì una carriera diplomatica brillante che nel 2006 gli apre le porte della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella qualità di Consigliere diplomatico del Ministro delle Politiche per la Famiglia. Si occupa di diritti dell’infanzia e delle donne, di cooperazione e di sviluppo, del dramma del Darfur, fino all’incarico di Ambasciatore d’Italia nel Principato di Monaco dal 2010 al 2015. “Moderne Odissee”, la quinta pubblicazione di Antonio Morabito, successiva al diario di memoria “La Valigia diplomatica”, è un cammino dentro il nostro tempo che il diplomatico reggino compie ripercorrendo alcune tappe della sua lunga e ricca esperienza professionale, proponendo al lettore delle riflessioni su temi rimasti drammaticamente irrisolti. “Sono onorato di presentare il mio libro, per la prima volta, a Reggio Calabria e in collaborazione con la fondazione Giuseppe Marino, alla quale mi lega un affetto profondo. Giuseppe Marino è stato per me un importante punto di riferimento”, ha evidenziato Antonio Morabito.

Sono particolarmente contento che la fondazione intitolata a mio padre presenti a Reggio Calabria, in anteprima nazionale, il volume di Antonio Morabito con il quale condivido i ricordi di una vita. Un grande affetto unisce le nostre famiglie, da sempre profondamente vicine. Ricordo in particolare la stima che lo legava a mio padre Giuseppe Marino che, ovviamente prima di lui, ha intrapreso gli stessi percorsi di formazione e studio“, ha sottolineato Antonio Marino, presidente della fondazione Giuseppe Marino.

Infinite e lunghe le rotte delle moderne odissee tracciate da Antonio Morabito nel suo volume. Tra queste quelle dei giovani in partenza alla ricerca di opportunità. “(…)Nell’ambito della società italiana emergono fenomeni di disagio dovuti alla perdita del lavoro, all’insicurezza sociale ed economica alla difficoltà di trovare occupazione lavorativa con conseguenze anche gravi sul piano personale e familiare. Per questo, molti parlano di un Paese che viaggia ‘a due velocità’: non solo il sud continua ad avere ritmi di crescita lenti ma vi è una fascia del Paese che cresce meno ed è quella più povera (…)”. Questa è stata la rotta richiamata nel suo intervento dal sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà; la rotta che “porta tanti giovani lontano da casa per cercare un lavoro e un’adeguata realizzazione delle proprie aspirazioni; lontani ma spesso, come Ulisse, con lo sguardo proteso verso quel luogo natio, costantemente accompagnati da un desiderio di tornare che si scontra con la possibilità di farlo. Un Nostos universale che intreccia tutte le epoche come il tema del viaggio attraversa la vita narrata nella letteratura di sempre“. Il sindaco Falcomatà ha poi proposto un’analisi della questione, contestualizzandola nel nostro territorio e nella nostra epoca. Egli ha spaziato dalla dimensione assistenzialistica del lavoro pubblico alle nostre latitudini, dalle difficoltà che i Comuni fronteggiano ogni giorno, alla luce dei trasferimenti statali drasticamente tagliati e delle risorse umane da rinnovare, fino alla formativa e prestigiosa esperienza del 68° meeting annuale che la Deutscher Reiseverband, che ha portato lo scorso ottobre a Reggio Calabria una delegazione di 600 operatori turistici tedeschi con un occhio terzo necessario sulle nostre grandi questioni, e fino ai talenti calabresi sparsi in Italia e nel mondo a lanciare brillanti idee imprenditoriali e vincenti startup.

Il sindaco Falcomatà ha lambito anche altre rotte come quella che conduce al cuore sofferente dell’Africa da dove partono migliaia di persone, molte delle quali, durante il viaggio periglioso e imprevedibile in mare, non sopravvivono. Alcune di esse hanno trovato a Reggio Calabria, nel cimitero di Armo, l’ultimo punto di approdo su questa terra. Scrive Antonio Morabito che “(…) La triste e silenziosa testimonianza di queste odissee finite in tragedie sono le tante tombe anonime fatte di ripieni di terra che si moltiplicano nei piccoli cimiteri dei paesini del sud. Tante persone non si negano al triste compito di dare sepoltura a tanti anonimi disgraziati che non hanno compiuto il loro sogno e che non fanno più notizia neanche per i cari che hanno salutato partendo. La gente semplice conosce la pietà e non giudica la morte dal suo colore. Un lembo del piccolo cimitero di Armo Puzzi in Calabria è diventato uno dei simboli di questa pietà fatta di modeste tombe, di cumuli di terra, che accolgono mestamente i resti di bimbi mamme e giovani sfortunati, di ogni età, raccolti nelle acque circostanti (…)“. Da Armo è partita la rotta tracciata da Don Nino Pangallo, direttore della Caritas diocesana Reggio Calabria-Bova che, ponendo l’accento sulle responsabilità dell’Occidente relativamente sfruttamento delle risorse in Africa, sulle persecuzioni non solo religiose e non solo cristiane in atto da parte dei fondamentalismi e sulla negazione diffusa di libertà e dignità, ha richiamato le moderne odissee di chi lascia l’Africa alla ricerca di una vita migliore. “(…) Abbiamo accolto a Reggio le vittime del martirio silenzioso che si consuma in mare. Le abbiamo accolte ad Armo dove il cimitero è divenuto il simbolo di questo pellegrinaggio della speranza, il luogo in cui una comunità impara a riconoscere nei fratelli e nelle sorelle immigrati una possibilità di futuro per tutti, un segno dei tempi che traccia nuovi orizzonti. Ascoltando le loro storie e condividendo il dolore e la sofferenza, ci si interroga profondamente sul ruolo della cooperazione internazionale oggi e sui cambiamenti epocali da vivere e non da temere come fossero minacce”, ha sottolineato Don Nino Pangallo.

Un momento di riflessione introdotto dalle note di una tenera ninna nanna scritta ed interpretata dal cantautore calabrese Fabio Macagnino e intitolata “Siricu“. Sul pentagramma giacciono le paure e le attese del viaggio doloroso di un’anima di errante per forza, verso un paese straniero, verso la terra dei Gelsomini raggiunta quando il mare finisce. Così si dipana una melodia dolcissima che nel titolo richiama storie di un tempo e storie moderne, quando giungevano per nutrirsi dei nostri gelsi i preziosi bachi da seta dallo stesso paese, adesso non più ricco e florido ma dilaniato dalla guerra, da dove oggi arrivano intere famiglie con figlioletti al seguito in cerca, dopo una resistenza coraggiosa, di vita e di futuro: la Siria. In una parola, che è il titolo di questa canzone, “Siricu”, decantano ineluttabili epoche in cui tutto si trasforma, in cui gli stessi popoli si ritrovano agli antipodi di ogni storia possibile; risiede tutta la potenzialità di cambiamento che ci rende crisalide oggi e farfalla domani, in un ciclo continuo e inarrestabile; dimora tutta l’universalità delle condizioni di artefici o sudditi della Storia che convivono, ancorché non contemporaneamente, in ciascuno di noi.

Di identità e di appartenenza ad un territorio, come insostituibile fucina di energia e inesauribile volano di sviluppo, ha parlato il consigliere metropolitano Demetrio Marino, sottolineando “la notevole portata del confronto avvenuto lo scorso ottobre con la delegazione della Federazione Tedesca del Turismo, nel segno di quella necessaria consapevolezza del potenziale tutto da valorizzare che possediamo. La costruzione dell’identità di territorio e di comunità è un percorso strategico al quale contribuiscono, in modo significativo, anche le testimonianze e le esperienze di persone dedite al mondo, ma legate alla loro terra di origine, come Antonio Morabito“.

Non solo rotte geografiche ma anche direttrici tematiche quelle suggerite da Antonio Morabito che, in apertura del suo volume, racconta del Summit sulla Terra tenutosi a Rio De Janeiro nel 1992, ricordando che dopo quell’evento nessuno poté più affermare di non conoscere le conseguenze nefaste della deforestazione, l’incombenza dei cambiamenti climatici, la necessità di politiche convergenti e stringenti di difesa dell’ambiente e della salute del Pianeta, tra le quali quelle relative allo sviluppo e alla produzione delle energie rinnovabili  in luogo della combustione di fossili nocivi. “(…)I temi ecologici continuano a essere di grande attualità e gravità, nonostante se ne parli a ritmi alterni. Una vera consapevolezza sulle malattie del pianeta a livello mondiale è abbastanza recente. Il primo Summit sulla Terra si è tenuto a Rio de Janeiro nel 1992. Si trattò di un evento senza precedenti anche in termini d’impatto mediatico e di scelte a carattere multilaterale. Al summit parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17.000 partecipanti”, scrive Antonio Morabito che a dispetto di una situazione pressoché drammatica crede ancora “nella forza della responsabilità di ogni cittadino”.

Momenti ed eventi segnano svolte epocali: é successo anche con l’avvento della rivoluzione digitale che ha influenzato, inevitabilmente, la comunicazione, l’informazione e le relazioni. Il confine tra verità e realtà, tutt’altro che granitico, si è sgretolato progressivamente ed il limite tra il dovere di fare ciò che è giusto e la possibilità di fare ciò che di giusto o di sbagliato si voglia, oggi alimenta arbitrii a scapito dell’etica dell’essere e dell’agire.

“(…) Le notizie divengono globali e sovente incontrollabili. Ed è ancora più drammatico, constatare come le false notizie una volta entrate nella rete non riescano più ad uscirne divenendo di pubblico dominio e divenendo sovente autentici macigni sulla vita, sulla dignità e onorabilità delle persone. Da queste condizioni emerge forte la necessità di far avanzare la verità dei fatti e il superamento di condizioni o situazioni datate e parziali e far comprendere alla rete il loro superamento e i cambiamenti anche positivi e quindi liberatori per i singoli. La verità con il tempo prevale ma necessariamente dovrebbe essere registrata da un web che non può essere usato cinicamente solo per registrare notizie che si vogliono far circolare o notizie parziali e infondate, rischiando di creare una società in cui appaiono realtà o verità capovolte, secondo gli interessi di parte (…)”, ha scritto il diplomatico e scrittore.

Resta la Speranza. “Pandora, un giorno scoperchiò il vaso, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni della vecchiaia, gelosia, malattia, pazzia e il vizio. Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza, che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo.

Dopo l’apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale simile ad un deserto, finché Pandora lo aprì nuovamente per far uscire anche la speranza, ed il mondo riprese a vivere”. Questa suggestione significativa apre il volume, pervade ogni pagina, attraverso la quale Antonio Morabito intreccia riflessioni e aneddoti personali ed illustra grandi questioni del nostro tempo, e si rivela al termine della narrazione come la strada maestra da seguire per costruire nuove e altre possibilità.