Salute mentale, disturbo di panico: la gabbia della paura

Cos'è il panico? L'approfondimento della dott.ssa Custoza, dell'Istituto di Neuroscienze di Reggio, nel nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla salute mentale

Nell’articolo precedente ci siamo soffermati sul concetto di ansia come stato emozionale che, se fisiologico, è necessario alla sopravvivenza ma, muovendosi su un continuum dimensionale, può sconfinare nella patologia fino a compromettere il funzionamento globale dell’individuo.

Il DSM-5 all’interno della categoria “disturbi d’ansia” include: disturbo d’ansia di separazione; mutismo selettivo, Fobia specifica, Fobia sociale, Disturbo di panico, Agorafobia e Disturbo d’ansia generalizzata. Questi disturbi hanno in comune una sintomatologia caratterizzata da paura, ansia o panico e comportamenti disfunzionali ad essi associati.

Nonostante il linguaggio comune li usi in modo interscambiabile, i termini ansia, paura e panico hanno, però, significati ben distinti. Come abbiamo già visto: la paura è un’emozione di base che ci permette di reagire ad un pericolo imminente attraverso comportamenti di attacco o fuga mentre l’ansia ci permette di anticipare una minaccia futura.

Ma cos’è il panico?

Il termine “panico” deriva dalla mitologia greca e fa riferimento a Pan, dio dei pastori e delle greggi dall’aspetto malfatto che, attraverso una reazione d’ira, provocava uno stato di terrore a chi, ignaro, interrompeva il suo riposo. È proprio ad un simile stato di terrore intenso e improvviso che si fa riferimento quando si parla di “attacco di panico”, fenomeno alquanto complesso che coinvolge mente e corpo ed è caratterizzato da un episodio di improvvisa e intensa paura che raggiunge l’apice in 10 minuti e si placa entro un’ora. Esso ci segnala la presenza di un pericolo (reale e non) incontrollabile che ci mette in una condizione di oppressione.

Esistono attacchi di panico attesi o situazionali, ovvero dinnanzi a situazioni specifiche temute, e attacchi di panico inaspettati, per i quali non vi è un evidente motivo scatenante e che si manifestano di punto in bianco nella vita dell’individuo.

I sintomi che lo caratterizzano sono: somatici (tachicardia, sudorazione, capogiri ecc.), psicosensoriali (derealizzazione, depersonalizzazione ecc.), cognitivi (paura di morire, di perdere il controllo ecc.) e comportamentali (fuga ecc.).
Si fa riferimento alla diagnosi “disturbo di panico” quando si verificano ricorrenti attacchi di panico inaspettati, preoccupazione persistente per attacchi futuri e per le loro conseguenze e significativa alterazione disadattiva del comportamento.

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La prevalenza del disturbo di panico è di circa il 2-3% con una maggioranza nel senso femminile e l’età media d’esordio si colloca tra i 15 e i 35 anni circa. Ma quali sono le cause sottostanti? Sebbene non ci sia una visione univoca, si ritiene che possa coesistere una combinazione di più fattori:

• Genetici
Vi è un’elevata percentuale di disturbo di panico tra gemelli monozigoti e tra familiari di 1° grado con disturbo di panico.
• Neurobiologici

Le strutture anatomo-funzionali coinvolte sono l’amigdala, ippocampo, corteccia orbito-frontale e locus coeruleus. In particolare, in questi pazienti l’amigdala, definita come la centralina d’allarme del nostro cervello, è iperattivata e quindi in costante stato d’allarme. Inoltre, squilibri neurotrasmettitoriali ai sistemi serotonina, noradrenalina e acido gamma amminobutirrico possono predisporre al disturbo di panico.

• Psicofisiologici

I teorici del comportamento hanno riscontrato un’analogia tra l’attacco di panico e la sindrome da iperventilazione, processo in cui la respirazione eccede il bisogno fisiologico di ossigenazione del sangue e di espulsione dell’anidride carbonica. Questi studi hanno portato all’ipotesi che alla base vi siano pattern respiratori disfunzionali che innescano paura e ansia anticipatoria tali da favorire l’insorgenza di attacchi di panico.

• Ambientali
Esperienze di vita traumatiche (lutto familiare) possono scatenare l’attacco di panico.
• Cognitivi

Secondo le teorie cognitive, il soggetto con un temperamento già vulnerabile dispone schemi cognitivi catastrofizzanti che interpretano costantemente le sensazioni corporee anche normali. Il costante stato di apprensione, provoca un innalzamento dell’ansia che fa entrare il soggetto in un circolo vizioso in cui il controllo continuo delle sensazioni corporee e i comportamenti di evitamento mantengono gli attacchi di panico.

Il decorso del disturbo di panico, quando non è opportunamente trattato, può evolvere verso una fase di cronicizzazione che condiziona il soggetto ad organizzare la vita in funzione del disturbo, determinando comportamenti di evitamento (es. limita le relazioni sociali, i viaggi, in generale qualsiasi situazione ansiogena) e un peggioramento della qualità della vita.

Come per qualsiasi altra condizione medica, è fondamentale quindi attuare un intervento precoce che possa garantire una prognosi più favorevole; intervento che consiste in un approccio integrato che coniuga la terapia farmacologica alla psicoterapia, con particolare riferimento alla psicoterapia cognitivo-comportamentale che può essere associata a tecniche di rilassamento e meditazione che aiutano a gestire l’iperventilazione di questi soggetti. Tuttavia, l’elevato stato d’allarme che caratterizza tali pazienti spesso determina una notevole diffidenza nei confronti dei farmaci e una particolare attenzione agli effetti collaterali riportati sul foglietto illustrativo che, a sua volta, suggestiona il soggetto nell’aderire alla terapia prescritta.

Il 60% dei casi, che vivono nella gabbia della paura, se adeguatamente trattati, vanno incontro alla risoluzione del disturbo.

Dott.ssa Giusy Custoza