La congiura dei Pisoni in un incontro organizzato dall’Associazione culturale Anassilaos
11 Maggio 2015 - 19:34 | di Redazione

Un evento risalente a 1950 anni fa (anno 65 d.C.) che sconvolse Roma e provocò la morte di tanti illustri intellettuali del tempo (Seneca, Lucano, Petronio) sarà al centro di una conversazione di Stefano Iorfida, promossa dall’Associazione Culturale Anassilaos, che si terrà martedì 12 maggio alle ore 18,00 presso la Sala di San Giorgio al Corso con la lettura di passi e brano scelti tratti da Tacito, Svetonio, Dione Cassio e altri affidata ai lettori-poeti del lunedì. Una occasione per incontrare di nuovo alla luce della storia taluni personaggi della corte neroniana che la letteratura, l’arte e il cinema dei secoli successivi hanno contribuito a rendere immortali. Nell’anno 65 d. C. una vasta congiura che comprendeva una parte non piccola della classe dirigente romana (militari, senatori, ex consoli e intellettuali) si propose di uccidere Nerone. Dal nome di Gaio Calpurnio Pisone che, nelle intenzioni di taluni congiurati, doveva sostituire Nerone nel governo dell’impero, tale congiura fu detta “dei Pisoni” o “pisoniana”. Le ragioni dello scontento nei confronti del giovane sovrano salito al trono nell’anno 54 d.C., all’età di diciassette anni (era nato nel 37 d.C), accusato di essere un auriga e un citaredo per il suo sconfinato amore per la corsa nel circo e per il canto – attività nella quali, cosa inaudita per un imperatore, si cimentava esibendosi personalmente per la gioia del popolino e lo scandalo dei benpensanti – nonché assassino del fratello (Britannico), della madre (Agrippina) e della legittima consorte (Ottavia) e di molte altre illustri personalità di rango senatorio, erano varie e diverse e non mancavano odi personali, invidie, gelosie, rancori. La congiura, scoperta per le indecisioni dei congiurati, le loro incertezze di tipo anche politico, e il numero eccessivo di persone coinvolte, offrì il destro a Nerone – aiutato dal suo prefetto del pretorio Ofronio Tigellino e dalla seconda moglie Poppea Sabina di sbarazzarsi, una buona volta, di tutti gli oppositori. Oltre a Pisone furono costretti al suicidio il filosofo Seneca, già maestro di Nerone, il di lui nipote Lucano, poeta e autore di un poema dedicato alla Guerra Civile tra Cesare e Pompeo, l’”Arbiter elegantiarum” della corte neroniana, quel Petronio quasi certamente autore del Satyricon, il grande romanzo dell’epoca neroniana e tanti altri. La repressione brutale salvò soltanto momentaneamente il trono di Nerone perché le ragioni dello scontento – soprattutto politico – per il dispotismo del sovrano e per certe sue manie ritenute incompatibili con lo status di sovrano esplosero tre anni dopo, nell’anno 68 d.C. con la rivolta di Galba in Lusitania e il colpo di stato del Senato nella Capitale che condannò Nerone come nemico pubblico. Si suicidò come i tanti uomini illustri da lui stesso condannati ma il pugnale, nella mano tremante, fu retto e diretto al cuore dal liberto Epafrodito. La storia (Svetonio) ci tramanda le sue ultime parole “Quale artista muore con me” -Qualis artifex pereo- ” che si prestano a diverse interpretazioni forse espressione del desiderio, nutrito fin da bambino di essere un poeta – ci rimangono alcuni versi non disprezzabili – e un attore se l’ambizione sfrenata di una madre (Agrippina) e l’esperimento politico del filosofo-pedagogo (Seneca) non ne avessero fatto un imperatore riuscito a metà.
