Lettera aperta di una moglie in cerca di giustizia: 'Sulla SS 106 si muore due volte'

"Quando perdi la vita e quando la giustizia viene seppellita insieme alla bara di chi ami". Le toccanti parole di una moglie in cerca di giustizia per il marito morto circa due anni fa

Mariaconcetta Zaccanelli, moglie di Massimiliano Ceccarelli, deceduto a causa di un incidente sulla Statale 106 Jonica nel 2021 è ancora in cerca di giustizia ed ha, per questo motivo, voluto divulgare una lettera agli organi di stampa per denunciare la situazione in cui vivono le “vittime collaterali” della “strada della morte“.

Lettera di una vedova sulla Statale 106

“Era la notte tra il 26 e il 27 settembre del 2021.

Tra pochi mesi saranno passati due anni da quando mio marito Massimiliano ha perso la vita sulla Statale 106 Jonica, mentre rientrava a casa dopo il turno di lavoro insieme al suo collega Antonio, deceduto anche lui. Due guardie giurate vittime di un atroce destino: un’auto si è schiantata a folle velocità contro la loro e li ha uccisi.

Sì, uccisi. Perché non si uccide soltanto con un coltello, con il veleno, con una pistola. Si uccide anche alla guida di un’automobile: con la propria coscienza, con il senso di responsabilità, con le proprie scelte tossiche. Si uccide!

E si fa presto a parlare di giustizia. Ti convincono che sia la panacea di tutti i mali. Al di là dell’affetto di familiari e amici, è proprio questa parola – giustizia – a giocare il ruolo più decisivo nel percorso di accettazione e di resilienza di chi vive un dramma del genere ed è costretto comunque ad andare avanti. Diventa una missione per noi familiari. Si affronta ogni lacrima, ogni notte insonne e ogni delirio emotivo con un solo obiettivo: dare giustizia a chi non hai più accanto.

E invece, il tempo continua a passare senza che nulla si muova! I progetti sfumati, la barca ferma, la mano che non ti accarezza più, un profumo che non ritorna, le feste comandate con un posto sempre vuoto. Scorre tutto: a volte lentamente come una clessidra, altre più veloce come una cascata. E fai i conti con una situazione che mai ti saresti aspettata.

Che la giustizia italiana abbia tempi lunghi è cosa risaputa. Ma davvero, ormai, sono stremata! Pochi giorni fa ho ricevuto l’ennesima comunicazione spiacevole: a causa del trasferimento in un’altra sede del giudice che segue il processo di Massimiliano e considerato che sempre lo stesso giudice è impegnato in un altro processo con oltre 200 capi d’accusa, i nostri procedimenti sono stati rinviati.

Sono passati due anni, l’erba continua a crescere nella piazzola di quell’incrocio maledetto di Sellia Marina, e noi continuiamo a vagare senza nulla di concreto in mano.

Ho deciso di scrivere queste poche righe per chiedere aiuto, per poter dare voce a chi purtroppo una voce non la ha più. Scrivo per far capire al nostro governo – che tanto professa di essere vicino ai cittadini e di avere a cuore la giustizia italiana – che la quotidianità di chi affronta certi calvari ha un sapore ben diverso, amaro, amarissimo. E che è molto facile fare le leggi, parlare di piani di snellimento a livello burocratico, promuovere assunzione di personale come se fosse l’unica manna dal cielo per ottimizzare i tempi dei processi. Scrivo per far capire alla magistratura che dietro un processo ci sono emozioni, ci sono intere famiglie che tirano a campare, ci sono ferite che soltanto la parola “giustizia” potrà in parte sanare.

Di fronte a questa burocrazia menefreghista, di fronte a un’incapacità di gestione, di fronte al danno e pure alla beffa, sento solo che mi sto consumando. Come una candela. Ho sempre paura di spegnermi, senza che sia stata fatta giustizia per Massimiliano e Antonio.

Nessun intento di fomentare odio e nessuna voglia di vendetta, ma chi ha sbagliato deve pagare, come prevede la legge!

Sulla nostra 106 si muore due volte: quando perdi la vita sulla strada e quando la giustizia viene seppellita insieme alla bara di chi ami”.