Operazione 'Giù la testa', malviventi traditi dalla “camminata”

Le indagini incrociate degli inquirenti il coinvolgimento di Franco Polimeni e le perquisizioni. Tutte le svolte delle indagini

Bruno Ielo è stato ammazzato perché non si è voluto piegare al volere del boss.

Lo hanno capito subito gli inquirenti. Soprattutto perché l’omicidio della sera del 25 maggio 2017, che vide soccombere il commerciante sotto i colpi esplosi da Francesco Mario Dattilo, su ordine di Francesco Polimeni, aveva tutte le caratteristiche e la simbologia tipica di un’esecuzione mafiosa. Quella non poteva essere una rapina finita male. Indosso alla vittima furono ritrovate diverse banconote per migliaia di euro, costituenti l’incasso della giornata, rispetto al quale il killer si era mostrato indifferente, gettando l’arma e allontanandosi a grande velocità, subito dopo il compimento della fulminea azione delittuosa.

Sono però serviti poco meno di due anni di indagini per ricostruire l’escalation di fatti criminali che avevano reso impossibile la vita di Bruno Ielo.

Una imponente attività di acquisizione di immagini registrate da numerosi impianti di video sorveglianza, insieme alle molteplici attività tecniche di intercettazione telefonica ed ambientale – eseguite dalla Sezione Omicidi e dalla Sezione Contrasto al Crimine Diffuso della Squadra Mobile – hanno permesso di chiarire i contorni di un orribile delitto eseguito dal commando composto da Francesco Polimeni e Cosimo Scaramozzino a bordo di una Fiat Panda di colore rosso e dal killer Francesco Mario Dattilo in sella ad uno scooter, alternandosi ripetutamente nelle attività di pedinamento e di osservazione della vittima lungo tutto il tragitto, fino al luogo dell’esecuzione del tabaccaio.

La svolta nelle indagini

Gli inquirenti hanno quindi monitorato i percorsi coincidenti dei due mezzi – la panda e lo scooter – che si erano dileguati in direzione Arghillà dopo l’omicidio. L’auto identificata – la panda rossa – è cointestata alla moglie e al figlio di una vecchia conoscenza della Mobile, Francesco Polimeni (classe 1964), ma in uso a quest’ultimo. Fatto che per gli inquirenti ha rappresentato una svolta nelle indagini. Perché quella di Polimeni, detto Franco, è una figura di “altissimo spessore criminale”, essendo il cognato di Pasquale Tegano, ai vertici dell’omonima cosca di ‘ndrangheta. La colpa di Bruno Ielo è stata quella di aver fatto concorrenza al tabacchino della famiglia di Franco Polimeni, intestato alla figlia Rita. La rivendita dista poco più di 400 metri dall’attività di Ielo. Fu proprio il coinvolgimento di Franco Polimeni a convincere gli inquirenti che vi fosse una naturale correlazione tra la rapina e l’omicidio, “collocandoli al centro di un disegno estorsivo più ampio, di matrice ‘ndranghetistica”.

La rapina. Traditi dalla camminata…

Così, dopo aver accertato gli esecutori materiali e i mandanti dell’efferato omicidio, gli inquirenti si sono concentrarti sulla rapina ai danni di Ielo dell’otto novembre 2016. Ipotizzando un collegamento che poi si sarebbe rivelato azzeccato.

Durante quella rapina fu rubato l’incasso, ma per gli inquirenti l’esecuzione della stessa avvenne con una violenza inusuale per il tipo di reato in questione. Infatti, per i poliziotti si trattò di una vera e propria spedizione punitiva. L’errore del tabaccaio fu quello di difendere ciò che era suo, opponendo resistenza finchè ci riuscì, e almeno fin quando Giuseppe Antonio Giaramita non gli sparò in faccia, ferendolo gravemente alla mandibola. I due malviventi arrivarono al tabacchino in sella ad uno scooter, dal quale scesero precipitosamente entrando nella rivendita. Una volta dentro abbassarono al saracinesca e cominciarono a colpire il titolare, presumibilmente perché in cassa non c’erano molti soldi. Ielo provò a resistere e impugnando una forbice si scagliò contro uno dei due criminali. Le immagini visionate dagli inquirenti restituiscono il titolare che, attinto dal colpo esploso ai suoi danni, arretrare barcollando. Solo gli immediati soccorsi impedirono che Ielo soccombesse sotto il colpo del rapinatore. Lui, invece, ce la fece. Si riprese e ricominciò la vita di sempre, da onesto commerciante. Ciò che fa più paura alla criminalità organizzata, che reagisce, sempre, e con una violenza spropositata.

Traditi dalla camminata

Ma gli inquirenti hanno notato anche un altro tipo di movimento:

“Giova riferire che dalle immagini – si legge nel referto degli investigatori – si notavano i particolari della camminata dei due soggetti: il più alto aveva un passo che denotava dei piedi ad apertura verso l’esterno (piedi a papera), mentre il secondo rapinatore, quindi il più basso, aveva una andatura con le punte dei piedi rivolte verso l’interno”. Annotazione che poi fu riscontrata nel verbale reso agli inquirenti da Ielo che disse: “Dei due uomini, quello che mi ha sparato, sono quasi sicuro di averlo visto in altre circostanze anche perché ha un modo di camminare particolare, che non si dimentica, mentre l’altro non ricordo di averlo visto…”.

Dattilo e Giaramita furono arrestati nel dicembre del 2016 a seguito di un controllo rientrante dell’ordinaria attività di controllo alla criminalità diffusa ed organizzata da parte delle forze di polizia. La perquisizione delle rispettive abitazioni. Nell’abitazione di Dattilo i poliziotti scoprirono un allaccio abusivo all’energia elettrica, una discreta somma di denaro , della sostanza da taglio per stupefacenti ed un bilancino di precisione, e in un locale nella disponibilità di Dattilo, anche 156 grammi di eroina. Nel corso della perquisizione a Giaramita furono rinvenuti 55 grammi di cocaina e cartucce per pistola calibro 75, la stessa usata nella rapina. Lo stesso dimorava in un locale annesso al bar “Angels” che poi fu sequestrato. Ma l’elemento che attirò di più l’attenzione degli inquirenti furono proprio le loro caratteristiche fisiche.

“Giaramita – scrive il gip – palesava un modo di camminare del tutto peculiare: lo stesso, infatti, a seguito di un incidente stradale occorsogli in data 9 settembre 2016, è costretto a deambulare e pertanto ha una tipologia di camminata che presenta le medesime modalità di uno dei rapinatori ripresi dalle immagini durante la fase della rapina”.

Anche Dattilo, nel corso di un’altra perquisizione nel 2017, a precisa domanda sulla sua andatura, dichiarò che il suo modo di camminare era dovuto esclusivamente ad una imperfezione fisica dei piedi che lo obbligava, già da diversi anni, all’utilizzo esclusivo di plantari da inserire all’interno delle scarpe, preferibilmente ginniche.