Miti di Calabria: le 'Pupazze' della domenica delle Palme a Bova

Il rito della benedizione delle Palme risale a tempi antichissimi (VII secolo), ma in Calabria ha un’origine ancora più misteriosa e affascinante

Oggi è la cosiddetta Domenica delle Palme, giornata che, nel calendario liturgico cattolico, si celebra la domenica precedente alla Pasqua e che dà ufficialmente inizio alla Settimana Santa.

In questo particolare giorno la Chiesa ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino che venne accolto dalla folla. La gente che per l’occasione stese a terra dei mantelli e tagliò i rami degli alberi intorno, per agitarli festosamente all’arrivo del Salvatore.

Questa festa in Calabria è particolarmente sentita e celebrata. Ci si reca infatti in chiesa provvisti di rami di ulivo raccolti per l’occasione e bellissime palme intrecciate, di diverse dimensioni, adornate anche da fiori e nastri, che il prete benedice durante la celebrazione e che vanno poi conservati a casa fino all’anno successivo e si donano a partenti o amici in segno di pace.

Il rito della benedizione delle Palme risale a tempi antichissimi (VII secolo), ma in Calabria ha un’origine ancora più misteriosa e affascinante. In modo particolare vogliamo farvi conoscere un rito davvero suggestivo e sconosciuto in alcune parti della nostra regione. Si tratta della processione delle Pupazze, un appuntamento tradizionale che si svolge ogni domenica delle Palme a Bova, provincia di Reggio Calabria.

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Un momento di collettiva sacralità popolare, che consiste nel trasportare delle grandi e particolari figure femminili fatte interamente con foglie di ulivo, fino al santuario di San Leo, principale chiesa di Bova.

Le Pupazze vengono create da contadini che con maestria e abilità intrecciano le foglie intorno ad un asse di canna, creando forme femminili differenziabili per dimensioni ed adornate con fantasia e attenzione, grazie a fiori e frutta fresca.

Le “sculture” vengono benedette in chiesa e portate fuori per dar vita ad una sfilata elegante e colorata. In parte vengono smembrate delle loro componenti, le cosiddette “steddhi”, che sono distribuite tra la gente. Alcuni ripongono una steddha su un albero in segno di benedizione, altri in camera da letto o ancora c’è chi le utilizza per togliere il malocchio in casa. I ramoscelli benedetti, anche se consumati dal tempo conservano completamente la loro sacralità, perciò per disfarsene non vengono gettati nella spazzatura, bensì inceneriti nel fuoco.

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Il rito delle Pupazze ricorda in qualche modo il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, secondo cui Ades, signore dell’oltretomba, si innamorò della fanciulla Persephone e decise di rapirla la rapì mentre raccoglieva fiori. Questo gesto causò la scomparsa della vegetazione. Ma dopo qualche giorno riuscirono a far sì che la figlia per due terzi dell’anno tornasse con la madre a far rifiorire i campi.

Secondo un’altra interpretazione le sculture vegetali di Bova sono collegate con la rappresentazione della quaresima in area bizantina. Tutt’oggi in Grecia, infatti, la quaresima è raffigurata come una figura femminile, spesso come una piccola bambola con una croce sul capo, simile a quelle intagliate dai pastori dell’area greca calabrese.

Un rito suggestivo e tradizionale, che andrebbe tutelato come patrimonio di Bova e di tutta la Calabria, simbolo del nostro rispetto e legame con la natura e con la sacralità della vita.

Foto di Carmelo Santoro