"Reggio non mi darà un futuro, vado via": la lettera di un ragazzo pronto ad emigrare

"Partire non è mai una scelta, ma una costrizione". Ecco la storia di un ragazzo che sta per andar via da Reggio

“Mi chiamo Gianluca, ho 27 anni e sono laureato in Ingegneria dell’Informazione. La mia storia è la storia di tanti. Una storia già vista, già raccontata, già sentita.

È la storia già scritta di un ragazzo nato e cresciuto a Reggio Calabria, un ragazzo che qui avrebbe voluto avere la possibilità di veder realizzati i propri progetti professionali e i propri sogni. O per lo meno, che avrebbe voluto avere una scelta. Che avrebbe voluto avere un’alternativa per poter decidere diversamente.

Durante gli anni di università ho visto andare via tante delle persone che conoscevo. Perché per i giovani come me è sempre un “altrove” a dare lavoro e futuro. Ma, quando anche io ho avuto in mano la mia laurea, ho dato tutto me stesso per fare in modo che quest’ingiustizia non avesse la meglio anche su di me. Il mio desiderio è sempre stato quello di dare il mio contributo, affinché il destino di questa realtà possa un giorno cambiare. E a contribuire, a partecipare, io ci ho provato…

Quest’anno ho iniziato la mia esperienza con il Servizio Civile nazionale qui a Reggio Calabria. Questa mia decisione è stata in fondo un escamotage, una scusa per dare a me stesso un po’ di tempo in più per restare a casa mia, nell’attesa e nella speranza che arrivasse una risposta vera, un vero motivo per restare.

Eppure, nonostante il mio impegno e la mia ricerca incessante, tutto ciò che ho trovato sono state porte chiuse e opportunità mancate. Nulla di ciò che ho trovato poteva essere sicuro, rassicurante.

Le varie aziende del mio settore di Reggio Calabria richiedevano requisiti impossibili da soddisfare, o cercavano figure professionali diverse dalla mia. Ho ricevuto unicamente proposte come operatore di call center, occupazione che avrebbe svilito le mie competenze e la mia professione.

Mi sono iscritto a due corsi di formazione, ai quali avrei voluto partecipare se fossero partiti prima che fossi costretto a guardarmi intorno per cercare altrove. Le uniche proposte accettabili che ho ricevuto durante quest’ultimo anno provenivano tutte dal nord Italia.

Cominciava dunque a prendere forma nella mia mente una dura consapevolezza. Sarà un altrove a dare un futuro anche a me. La verità è che qui l’impiego massimo delle mie energie ha fruttato soltanto l’accesso a un corso, e nulla di più. A Milano invece ho già un contratto pronto da firmare.

Qui per me non c’è posto. La mia città non ha nulla da offrirmi. Perciò vado via. Non perché io lo voglia, ma perché non mi è stata concessa nessuna alternativa. Andrò in una grande città, in cui forse mi sentirò sempre straniero, e allora probabilmente sentirò di non appartenere a nessun luogo.

Nel tempo che mi resta prima della partenza imminente ripercorro i luoghi cari alla mia vita, i luoghi a cui è ancorata una parte di me. Così ho deciso quale sarebbe stato il messaggio di arrivederci alla mia città. Il saluto amaro di un figlio che non avrebbe voluto andarsene e che spera di ritornare.

Mi sono chiesto come un turista avrebbe scattato delle foto per conservare il ricordo della città visitata. Probabilmente avrebbe sorriso. Ma queste non sono fotografie scattate da un turista, e io non posso sorridere. Queste fotografie mettono bene in mostra l’aspetto trasandato di una persona che non ha potuto fare una doccia prima di uscire di casa, che non ha potuto fare la barba, a causa dei problemi di erogazione idrica della città, che costringono a lavelli pieni di piatti sporchi e ceste piene di vestiti da lavare, problema che spesso rimane senza soluzione anche per settimane.

Questa è la città a cui dico addio. E queste fotografie scaturiscono da ciò che mi porto dentro, portano la voce dei sentimenti miei e dei tanti che come me sono andati via in silenzio.

Tristezza, rimpianto, vergogna, delusione.

La tristezza di abbandonare la mia casa e tutti i miei affetti; il rimpianto di aver preso decisioni sbagliate, che mi hanno portato a non poter sfruttare qui le mie possibilità, anche se erano le migliori per il mio futuro; la vergogna al pensiero che così tanti professionisti siano costretti ad andare via, lasciando il sud preda dell’arretratezza e del vuoto; la delusione nell’assistere ad una perenne situazione stagnante che alimenta la consapevolezza che, alla fine, Reggio non mi darà futuro.

Per chi come me è nato al Sud, partire non è mai una scelta, ma una costrizione.

Un’imposizione data dalle circostanze che non permettono a noi giovani di realizzare qui il nostro obiettivo professionale, ciò per cui abbiamo speso tempo, fatica, passione.
Ciò che so per certo è che, ovunque sarò, non dimenticherò la mia Piccola Terra. Ovunque io vada lei verrà con me.

Forse non appartengo a Reggio, per un motivo di cui non ho colpa, ma Reggio appartiene a me”.

“La piccola terra,
In alta quota,
Rimpiangi per sempre”.