Reggio riparte tra paura e orgoglio. Il racconto di un piccolo imprenditore: ‘Siamo ancora vivi…’
'Mi sono rimboccato le maniche. L’obiettivo era quello di dimostrare a me stesso, alla mia famiglia, e a chi ci governa che eravamo ancora vivi...'
18 Maggio 2020 - 18:21 | Claudio Labate

Dallo scorso 6 maggio, ogni mattina, mi metto in macchina, dandomi una pacca sulla spalla.
Un modo di farmi coraggio, di cominciare la giornata sotto i migliori auspici. La macchina ha camminato poco negli ultimi mesi. Anche lei è disabituata a percorrere la strada. Fino ad oggi, 18 maggio – giorno in cui è prevista la riapertura del grosso delle attività commerciali al dettaglio, insieme alla ristorazione e ai servizi per la cura della persona – la scena che si presentava ai miei occhi era sempre la stessa. La pattuglia impegnata nei controlli delle autocertificazioni, e strada libera. Niente clacson, poche anime in giro per la città, bus vuoti. Nessun ambulante o mercato stanziale. Non potevi contare neanche su quell’accattivante profumo di caffè passando davanti ai bar, dai cui ingressi si diffonde il profumo dolce della colazione all’italiana.
Uno scenario scoraggiante, che ha avuto il solo merito di avermi reso più intima la città. Il tuo rapporto con Reggio cambia inevitabilmente.
Mentre il piede spinge sull’acceleratore, puoi finalmente cominciare a guardarla questa città. Le piazze vuote, le porte delle chiese sbarrate, le strade principali deserte l’hanno resa nuda ai miei occhi, l’hanno resa per quella che è: bella. Più pulita, più respirabile, più silenziosa. E per l’appunto, più intima. Una condizione che però non poteva e non può in assoluto rimanere tale. La vita deve riprendere. E, ahimè, il ritorno alla normalità è diventato anche il mio obiettivo.
Sono il proprietario di una gastronomia d’asporto. Sono riuscito a rimanere aperto fino al 13 marzo scorso. Poi le restrizioni, la chiusura totale, la paura, hanno trionfato su tutto.
Da quel momento i giorni sono passati ad uno ad uno con sentimenti contrastanti. L’informazione a tratti scomposta, e in certi casi volutamente confusa, mi ha creato ben presto una sorta di stato di assuefazione. Eppure anch’io nel mio piccolo esercito una delle professioni più belle ed affascinanti che esista. Sono un giornalista. E per giunta orgoglioso. Ho provato quindi a prendere con le molle tutto quello che girava in rete. Che poi è diventata la nostra nuova casa, senza mura, con mille possibilità ed altrettante insidie.
Il primo stadio, quello di confusione, è stato dettato però non tanto dalle notizie, ma dalle fonti. Basti pensare alla confusione ingenerata nei cittadini dai contenuti dei vari provvedimenti assunti da Governo, Regioni, Comuni, Protezione civile e chi più ne ha più ne metta. Non sapevi mai se la tua interpretazione era quella giusta. Non riuscivi a capire se potevi rientrare in questa o quella misura pensata per venire incontro al momento di difficoltà della cittadinanza, del commerciante, dell’imprenditore. Il tempo di capirla, quella norma, che subito interveniva una nuova modifica. Un po’ come le autocertificazioni.
Il secondo stadio è stato quello della paura, mista all’emozione. Si, paura in tutte le sue accezioni. Il numero impressionante dei deceduti comunicato attraverso la conferenza stampa della Protezione civile, il bollettino regionale, poi quello ospedaliero. La curva crescente, le mascherine mancanti, i guanti andati a ruba e il gel igienizzante scomparso da tutti gli scaffali, le code interminabili ai supermercati presi d’assalto, la gente chiusa in casa… L’unica nota positiva è stato constatare che il prezzo della benzina era sceso di circa una ventina di centesimi. E guarda un po’, proprio quando non circola più nessuno per strada. Ma la paura mi ha assalito quando nonostante ci sforzassimo di cantare dai balconi colorati di arcobaleno, la sera, davanti alla tv sfilavano i camion militari pieni di bare. Tristezza mista ad un po’ di imbarazzo. Che si univa alla paura di non riuscire a reggere l’urto della crisi che sarebbe successa all’emergenza sanitaria in atto.
Il terzo stadio è stato quello dell’orgoglio.
Quelli che come me hanno un’attività di ristorazione hanno dovuto aspettare il 4 maggio. Nel mio caso particolare, l’autorizzazione all’asporto. Mi sono rimboccato le maniche, come tanti altri. L’obiettivo era quello di dimostrare a me stesso, alla mia famiglia, e a chi ci governa – che ha trovato anche il tempo di litigare – che eravamo ancora vivi.
Che esistevamo e che esistiamo ancora oggi. Con inimmaginabili sacrifici, ho provveduto alla sanificazione dei locali, mi sono costruito in un impeto di “fai date” le barriere protettive da mettere davanti la cassa, ho raccolto i pochi tavoli e le relative sedie in un angolo; ho racimolato guanti e gel igienizzanti e, soprattutto, ho dedicato ampio spazio all’informazione dei miei vecchi e futuri clienti. E non pensiate che sia stato facile. Perché il “difficile” che vi viene in mente è solo una parte del dramma che stiamo vivendo. Chi parla e straparla di ripartenza deve farsi due passi in giro per capire che la realtà è lontana anni luce dalla fotografia che aveva in mente prima dell’emergenza e quindi della chiusura.
Ho alzato la saracinesca il 6 maggio scorso. Attorno a me il deserto. È dura, durissima. Il futuro è incerto. E lo si capisce da quella scena che a bordo dell’auto continui a vedere anche oggi. Certo, ci sono più macchine in giro, il traffico sembra lentamente ritornare alla normalità, ma le saracinesche rimaste abbassate sono ancora tante. Per questo non posso che ringraziare i clienti che comprendendo il momento difficile – per tutti – hanno scelto di tornare da subito. Per aiutare. Per dire, io ci sono. E sarebbe un bene che tutti noi facessimo così con i nostri commercianti di fiducia. Torniamo da loro. Aiutiamoci fra di noi, perché ne abbiamo tanto bisogno…
E nell’attesa che gli aiuti e la “potenza di fuoco” declamata dallo Stato ci sfiori, preferibilmente senza capottarci definitivamente, la normalità, la tanto agognata normalità, ha il puzzo dell’eterna emergenza rifiuti.
Claudio Labate – Clab
