Salute mentale, Femminicidio: cultura, natura o patologia mentale?

L'approfondimento dell'esperto prof. Rocco Antonio Zoccali dell'istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

La morte di Giulia Cecchettin, evento drammatico, tragico, che ha sconvolto tutta la nostra comunità, determinando in ognuno di noi tristezza e sgomento, richiede una adeguata analisi, quale ennesimo femminicidio, viste le numerose letture e interviste che sono state riportate sui mass media.

Molta risonanza al comportamento omicida di Filippo Turetta è stata data al retaggio culturale, al condizionamento della cultura patriarcale, ma a mio avviso il comportamento omicida di Filippo Turetta impone più chiavi di lettura.

Che la cultura patriarcale debba essere contrastata nella nostra società, è un concetto che non può non essere condiviso, anni di prevaricazione hanno mortificato la vita delle donne ma, oggi, ritengo che tale modello sia in fase di continuo ridimensionamento anche se, è innegabile, ci siano contesti dove la cultura patriarcale continua ad essere l’humus che sottende l’aggressività dell’uomo.

Tuttavia, che la cultura patriarcale abbia potuto condizionare il comportamento omicida di Filippo Turetta, è una motivazione troppo debole; è sufficiente, in tal senso, riportare le parole del padre nell’intervista di giorno 22 sul corriere della sera:

“Non siamo talebani. Non ho mai insegnato a mio figlio a maltrattare le donne. Ho il massimo rispetto di mia moglie ed in casa abbiamo sempre condannato apertamente ogni tipo di violenza di genere. Vederci descrivere ora come una famiglia patriarcale ci addolora molto”.

Purtroppo, interpretare il comportamento dell’uomo è estremamente complesso ed è semplicistico rifarsi al solo fattore socio – culturale, scotomizzando la struttura neurobiologica per l’esigenza di creare un baluardo contro il razzismo e l’eugenetica di triste e drammatica memoria. Concetti del genere risalgono a molti anni fa e precisamente a John B. Watson ( 1878- 1958) che a quel tempo, scrisse riscontrando notevoli consensi:

“Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione, e un ambiente organizzato secondo i miei specifici principi, e vi garantisco che, prendendo ciascuno di loro a caso, sarò in grado di farne lo specialista che desidero, sia esso un medico, un avvocato, … mendicante o un ladro”.

Zoccali

Il tutto senza tenere conto dei suoi talenti, inclinazioni, attitudini ..

”I behavioristi erano convinti che il comportamento potesse essere compreso indipendentemente dal resto della biologia. Niente di più falso. Oggi, ha indubbia evidenza il modello bio – psico- sociale che vede il comportamento condizionato dalla struttura biologica geneticamente determinata, dall’esperienza, soprattutto nei primi 10 anni di vita e quindi dai rapporti affettivi e modelli genitoriali, dai processi educazionali e dagli eventi esistenziali in genere e, infine, dal contesto socio-ambientale. Nel nostro caso, preso atto delle dichiarazioni del padre di Filippo Turetta, visto che i femminicidi non sono correlati al patriarcato, in quanto hanno una frequenza maggiore in Svezia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Francia, dovremmo prendere in considerazione altri fattori.

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Il contesto sociale oggi, con la crisi educazionale della famiglia e della scuola, è un fattore che purtroppo sta condizionando la formazione della personalità di tutti i nostri ragazzi, ma certamente per compiere un femminicidio è necessario fare riferimento ad altre specifiche cause, sempre ovviamente con il beneficio della prudenza, dal momento che il giovane in questione non è stato ancora sottoposto ad alcun colloquio psichiatrico. Dobbiamo chiederci quanto un tale comportamento possa essere scaturito da un disturbo di personalità con tratti narcisistici e/o paranoici e/o per la presenza di rabbia, impulsività e assenza di empatia.

Dire che il giovane non ha mai manifestato alcun disturbo non è una garanzia.

Molta patologia mentale è subclinica e non si manifesta fin quando il soggetto non trova sulla sua strada eventi che vanno a rompere il precario equilibrio esistenziale che, in alcuni casi, può mantenersi a lungo quanto più il contesto ambientale si adegua alle esigenze del soggetto. Inoltre, anche lo stigma nei confronti della patologia porta a negarne la presenza: “è un brutto carattere, bisogna prenderlo per il suo verso, è un po’ strano ma in fondo è un bravo ragazzo!”. A mio avviso è quello che potrebbe essere accaduto a Filippo Turetta che, lasciato dalla ragazza che non tollerava più la sua gelosia (patologica?) e le sue prevaricazioni, incapace di elaborare il lutto dell’abbandono, reagisce con l’omicidio. In questi casi il problema è quindi quello di individuare i sintomi subclinici (la patologia della personalità, l’irritabilità, l’impulsività ecc. ) che possono innescare determinati comportamenti.

Quale soluzione per limitare casi del genere?

La soluzione non può essere solo la presenza dello psicologo nella scuola, certamente utile, ma con i limiti correlati alla necessaria richiesta di aiuto da parte dei giovani che possono non riconoscere il proprio disagio; l’educazione alle emozioni, anche se potrebbe essere utile, ha i suoi limiti: le emozioni non si possono insegnare, il problema è estremamente complesso.

A mio avviso una soluzione potrebbe essere quella di sottoporre tutti i giovani, durante l’anno scolastico ad uno screening con il coinvolgimento dei genitori, utilizzando una serie di questionari che potrebbe servire a cogliere i segni di un disagio ancora in embrione e attivare interventi mirati di supporto psicoterapeutico ed in alcuni casi anche farmacologico.

del prof. Rocco Antonio Zoccali – Articolo richiesto dall’Istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria.