«Dopo il dolore, il fango: avete spezzato l'ultima parte del mio cuore»

La madre del vigile del fuoco Nino Candido difende la memoria del figlio morto nell'esplosione di una cascina

Ristobottega

«Matteo, Marco e Nino non sono eroi e mai avrebbero voluto esserlo; erano semplici vigili del fuoco che, chiamati ad intervenire, hanno semplicemente svolto il loro lavoro».

Maria Stella Ielo, madre di Antonino Candido, il vigile del fuoco morto in seguito all’esplosione di una cascina che era stata “minata” dai proprietari per ottenere il rimborso dell’assicurazione, usa parole semplici per riportare sulla terra una polemica assurda, cucita sugli ultimi rinculi di un processo per omicidio plurimo ormai arrivato all’ultima curva.

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IL MANTELLO PROIBIZIONISTA

Commemorazione Nino Candido

A fare esplodere l’ennesima polemica dai contorni surreali su una vicenda che ha visto tre pompieri morire sul lavoro in seguito ad una tentata truffa (già confessata da uno dei due imputati) terminata con una strage, i risultati dell’esame autoptico che avrebbero dimostrato la positività delle vittime all’suo di droga nei giorni precedenti alla tragedia e, soprattutto, l’enfasi con cui un giornale locale ha riportato il referto. Tracce di sostanze assimilabili alla cocaina e, nel caso di Candido, alla marijuana, che niente aggiungono alla vicenda – i tre vigili del fuoco morirono perché erano proprio nel posto dove avrebbero dovuto trovarsi in funzione del loro ruolo – se non un velo aggiuntivo di amarezza.

«GIUSTIZIA PER NINO»

«Avrei potuto immaginare che la memoria di mio figlio Nino – scrive ancora la madre del vigile del fuoco in una nota – non ricevesse la meritata giustizia, ma mai mi sarei immaginata che qualcuno, dopo il dolore arrecatomi, la potesse infangare al punto di spezzarmi l’ultima parte di cuore che mi è rimasta».


Una storia dai contorni surreali quella della morte dei tre vigili del fuoco, rimasti coinvolti dall’esplosione che ha raso al suolo una cascina in provincia di Alessandria e che, a due settimane dalla sentenza di primo grado, si tinge di una notizia che lascia dietro di se la puzza del gossip fine a se stesso.

«Gli eroi hanno perso il mantello – scrive ancora la Ielo parafrasando il titolo del bisettimanale piemontese – perché quel mantello gli è stato brutalmente strappato con la pubblicazione di circostanze assolutamente ininfluenti ai fini processuali. Il tentativo di condizionare un processo in corso costituisce un insulto nei confronti della vita ormai persa dei vigili Matteo, Marco e Nino e ancora di più l’ennesima offesa alla giustizia».

IL PROCESSO

È prevista per il prossimo febbraio la sentenza nei confronti degli unici due imputati della strage, Giovanni Vincenti (reo confesso) e della moglie. La procura di Alessandria ha chiesto la condanna per entrambi gli imputati – accusati di delitto plurimo – a trenta anni di reclusione: una decisione che non è andata bene ai difensori della famiglia del vigile reggino Antonino Candido, gli avvocati Fabio Federico e Sergio Mazzù che nella loro arringa avevano chiesto il massimo della pena per i due imputati e che non accettano la spettacolarizzazione di un elemento – la positività al test sugli stupefacenti – totalmente ininfluente sulle dinamiche del processo:


«Questa notizia – dicono i legali – non ha nulla a che vedere con le responsabilità degli imputati i quali hanno deliberatamente accettato il rischio, al fine di frodare l’assicurazione e cagionare la morte dei vigili soccorritori».