Strage di via D’Amelio, 25 anni dalla morte di Paolo Borsellino


di Maria Luisa Rossello. E’ il 19 luglio 1992. E’ domenica e – visto il caldo torrido – la maggior parte dei palermitani opta per la tintarella sulla spiaggia di Mondello. Qualche altro si dedica alla siesta, mentre i più piccoli giocano a nascondino per i vicoli dei quartieri.

Ma, alle 16:58, un boato assordante sconvolge la quiete dei molti. All’improvviso Palermo tutta viene avvolta da una fitta nube e la gente comincia a domandarsi cosa fosse accaduto. Ai centralini delle forze di polizia e dei nosocomi arrivano telefonate a raffica.

“Ci sono dei feriti in via Mariano D’Amelio, presto, accorrete” – comunicano i primi utenti. Ed il cuore di chi ha alzato la cornetta ed ha sentito “via Mariano D’Amelio”, comincia a tingersi di nero. In quella via – infatti – vive la madre del giudice Paolo Borsellino, impegnato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra. La scena del crimine è a dir poco sconcertante.

Brandelli di carne dappertutto, corpi dilaniati, tanto da renderne poco agevole l’identificazione. A rimanere vittima del disumano attentato, oltre al magistrato, ci sono i suoi “angeli”, gli uomini della sua scorta: Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. E c’è anche lei, Emanuela Loi, giovane agente della Polizia di Stato che, nonostante lo stesso Borsellino – considerati i pericoli cui poteva incorrere, standogli a fianco – le avesse consigliato di chiedere trasferimento e di dedicarsi al suo matrimonio (si sarebbe celebrato pochi giorni dopo, ndr) – è rimasta con lui sino al suo ultimo anelito.

Nel 1963, a soli 23 anni, Borsellino entra in magistratura e diviene noto alle cronache, per essere il più giovane magistrato d’Italia. Pensava di seguire la branca civile della magistratura ed – invece – si è ritrovato a far parte del Pool Antimafia, assieme al giudice Rocco Chinnici (assassinato il 29 luglio 1983, ndr) ed all’amico di infanzia – nonché collega – Giovanni Falcone (assassinato il 23 maggio 1992, ndr). La sete di verità e giustizia del pool ha dato – poi – vita al Maxiprocesso ai mafiosi siciliani che, nel 1987, si è concluso con 342 condanne – tra cui 19 ergastoli.

Un vero uomo delle Istituzioni, coraggioso, dotato di spiccato senso del dovere e spirito di abnegazione. Un uomo incorruttibile, che non si sarebbe mai piegato ai voleri di Cosa Nostra ed ai poteri deviati della società. Sin dal primo momento in cui ha deciso di contrastare il malaffare, conosceva bene i pericoli che avrebbe potuto incontrare. Il rischio di morte si è fatto ancora più intenso dopo la strage di Capaci e, malgrado ciò, neppure per un istante ha pensato di arretrare. Nei 57 giorni successivi alla morte di Falcone, si sentiva sempre più un sopravvissuto, ma questa sensazione non lo faceva disgiungere dal suo lavoro. Niente passerelle, niente iperbole, preferiva soffermarsi su qualcosa di concreto. Che la morte lo aspettasse, ne era certo, ma – nonostante ciò – continuava ad andare a trovare la madre, sia per una questione affettiva, sia per confrontarsi e per capire se ciò che stava facendo era giusto, oppure no.

Borsellino e gli altri martiri della legalità, però, non meritano di essere ricordati e commemorati solo nel giorno dell’anniversario di morte. Anzi, se fisicamente presenti, non avrebbero – di certo – gradito. E’ con le piccole azioni quotidiane che si contrasta il “cancro letale” e gli atteggiamenti pseudo-mafiosi. Richiamando il ragazzino che getta il fazzoletto sudicio in mezzo alla strada, o l’automobilista che sosta nell’area riservata ai diversamente abili – o addirittura in terza fila – si tramanda il patrimonio etico-morale lasciatoci da chi ha sacrificato la propria vita per salvarci dalla malapianta.

Abbiamo il dovere morale di conservare la nostra libertà, senza lasciarci abbagliare dai guadagni facili, dai lussi o dalle vie più brevi per giungere alla meta auspicata. Lo dobbiamo a Paolo ed a quelli come lui.

«La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». (Paolo Borsellino)