Reggio in marcia per la Flotilla, la scena è dei giovani: ‘Non è un’assenza a scuola, è cittadinanza’
Tra le riflessioni dei ragazzi anche un riferimento a Gramsci: "Come lui, anche io odio gli indifferenti e siamo qui in piazza per combattere il silenzio"
“Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.
Sono proprio le parole di Gramsci a far da cassa di risonanza al messaggio che, oggi, gli studenti reggini, hanno voluto lanciare da piazza De Nava.
Nel giorno in cui CGIL e USB hanno indetto lo sciopero generale per la Flotilla, sul Corso Garibaldi la prima linea è dei ragazzi. Non un atto di moda, ma una scelta consapevole. E ciò che hanno raccontato ai microfoni di CityNow non può che smuovere le coscienze. Il senso dello stare in piazza, prendere sulle spalle una piccola parte di realtà e ribadire che la scuola serve se insegna a guardare il mondo, non a voltarsi.
La mattina ha il passo lento dei cortei. Il raduno in piazza, la sistemazione degli striscioni e si parte per la marcia con destinazione Prefettura.
“Un’assenza a scuola non potrà mai essere più importante di ciò che succede nel mondo – ha affermato una studentessa con l’assoluta convinzione di chi ha deciso che l’immobilismo non è mai la risposta corretta. Sono contraria a chi dice che manifestare non serve: basta aprire un libro di storia per capire che le manifestazioni possono cambiare tutto”.
La piazza fa rumore, si parla, ci si confronta e così la città si anima sotto il grande tema della pace. La storia come manuale vivo, oggi la lezione si è tenuta al di fuori delle mura degli istituti.
“Al ministro Valditara, quando è venuto nella nostra scuola, abbiamo spiegato l’importanza della libertà insegnata dalla scuola. Oggi ci avvaliamo di quella libertà”.
Libertà non come parola astratta. Libertà come diritto di esserci, studiare i fatti, ma farsene anche carico.
“Anche se non possiamo cambiare tutto, non dobbiamo girarci dall’altra parte. Potrebbe capitare a tutti”. È il principio base della cittadinanza: riconoscere la vulnerabilità. L’altro come possibile noi.
Tra le decine di studenti presenti al corteo, una voce richiama la responsabilità individuale:
“La fine parte dal singolo. Se tutti ci giriamo dall’altra parte… Qui siamo tanti, tante scuole diverse. Ci siamo confrontati su ciò che era giusto: la responsabilità deve partire dal singolo e poi diventiamo tanti”.
Una sorta di alfabeto della democrazia: io, tu, noi. Dalla coscienza al coro.
“Siamo qui a protestare mentre altre persone sono in Palestina a morire e a soffrire. È giusto che la nostra voce non sia un bisbiglio che passa inosservato agli occhi dello Stato”.
La richiesta è chiara: visibilità, ascolto, azione. Non solo condanne di rito.
Infine, una riflessione più ampia, che instilla speranza in chi la ascolta, perchè proveniente dalla voce di un giovanissimo:
“Sono felice dell’ampio consenso, insolito per gli studenti, un gruppo che dovrebbe avere più voce. C’è attenzione per ciò che accade e per un modo più umano di vivere. Sono qui contro ogni indifferenza. Come Gramsci: io odio gli indifferenti. Da qualunque ruolo nel 2025, bisogna ripartire dalla base: lavoratori e studenti. Non condivido il mancato intervento dell’esercito italiano in difesa dei suoi cittadini. Erano acque internazionali, gli arresti sono stati illegali. È scandaloso. Il mondo assiste muto e cieco”.
Il senso della giornata
Il corteo indetto da CGIL e USB ha attraversato il centro partendo da piazza De Nava fino ad arrivare in Prefettura. Ma oggi la notizia è anche un’altra: la scuola ed i ragazzi si sono presi il loro posto nello spazio pubblico. Il rifiuto dell’indifferenza come compito educativo.