50 anni dai moti di Reggio, Amato: 'Lo scippo del capoluogo a favore di Catanzaro'

"È una ferita ancora aperta con strascichi dolorosi di rancori e risentimenti". Le parole dello storico Pasquale Amato

“Siamo nell’anno 2.750 dalla fondazione di Reghion. E sono passati 50 anni da quel 14 luglio 1970 in cui la città più antica e grande della Calabria, una delle prime fondate dai Greci in Occidente, si ribellò contro una profonda, palese ingiustizia che aveva stracciato la storia: lo scippo del capoluogo regionale a favore di Catanzaro”.

A scrivere è un noto storico reggino che, nei tanti anni di carriera, ha fatto della nostra città e delle sue eccellenze, la sua missione. Si tratta di Pasquale Amato, professore all’Università per Stranieri ‘Dante Alighieri, già professore all’Università di Messina.

“Fu una rivolta disperata di Davide contro Golia. Reggio si ribellò contro una concentrazione di forze
mille volte maggiore: il governo ed i maggiori partiti del Paese (compresi quelli all’opposizione, dal Msi al Pci), la televisione di stato che trasmetteva l’unico telegiornale in regime di monopolio, la grande stampa nazionale propensa per vocazione a interpretare in chiave negativa e carica di pregiudizi qualsiasi protesta emersa nel Sud.

Ancor più in quel caso, che non si presentava nella stereotipata veste del Mezzogiorno-Africa descritto dal plenipotenziario piemontese Pier Carlo Farini nel 186o: regno dell’assistenza, delle clientele e del malaffare.

E la “Grande Coalizione” orchestrò una mistificazione delle ragioni vere della protesta. Una mistificazione che capovolse le posizioni: gli scippatori divennero saggi, civili e regionalisti responsabili; e gli scippati espressione non della rabbia di chi è stato escluso ma del più abietto e ottuso campanilismo, di sub-cultura propensa alla violenza e di arretratezza civile. Avvenne così che nello spazio di poche settimane i 170.000 abitanti della Città del Bergamotto si ritrovarono tramutati in “fascisti” e “teppisti“, versione aggiornata degli ottocenteschi briganti e manutengoli.

Fascisti e teppisti ieri; e dopo trent’anni protagonisti di una rivolta fascista e plebea, espressione del più negativo “profondo Sud“. Eppure nei primi giorni della protesta il Secolo d’Italia, giornale ufficiale del Msi diretto dal reggino Nino Tripodi, era stato bruciato in piazza per essersi schierato anch’esso contro la rivolta popolare.

Tuttavia non ha avuto importanza allora, non ha importanza oggi. Perché allora Reggio doveva essere isolata rispetto all’opinione pubblica del Paese appiccicandole addosso l’etichetta dell’unico partito emarginato dal contesto del cosiddetto arco costituzionale, pur avendo dato appena tre consiglieri comunali e nessuno regionale al Msi nelle elezioni del 7 giugno 197o.

Ed oggi si continua la mistificazione perché è più sbrigativa e non richiede sforzi di approfondimento
sulle motivazioni.

Menomale che Santo Strati ha curato la riedizione di un libro dal quale non si può prescindere se si
vuole avere un’idea delle ragioni profonde della Rivolta e una documentazione a 36o gradi dì quegli eventi drammatici e inconsueti: Buio a Reggio di Luigi Malafarina, Franco Bruno e Santo Strati. Pubblicato a dicembre 1970, Buio a Reggio offrì una documentazione ampia e completa della più lunga Rivolta urbana della storia contemporanea.

Una documentazione che rompe tuttora con tutti ì tentativi di arrampicarsi sugli specchi per non riconoscere l’evidente verità storica: Reggio venne scappata del suo primato di città più antica, grande e importante della Calabria dall’alleanza di ferro tra le élites trasversali delle altre due province. Élites politiche, sociali, economiche e culturali storicamente affini rispetto alla città dello Stretto, tra sempre proiettata non solo geograficamente ma sotto tutti ali aspetti.

l.a rivolta durò tanto a lungo perché fu una vera ribellione di popolo contro un’ingiustizia di proporzioni gigantesche. Dopo 5o anni è una ferita ancora aperta, con le sue ricadute in tutti i settori e con i suoi strascichi dolorosi di rancori e risentimenti che continuano a ricadere su Reggio.

Ultima tappa di questi strascichi, il caso dell’Aeroporto dello Stretto e l’ostinata azione di annacquamento della specificità del Bergamotto di Reggio Calabria. Per rendersi conto delle ragioni della Rivolta basta rileggere i commenti e le cronache di alcuni giornalisti illuminati che compresero e descrissero la disperata rabbia di
Reggio, come Alfonso Nladeo e Egidio Sterpa del Corriere della Sera e Francesco Fornari de La Stampa. Giornalisti che ebbero il coraggio di uscire dal coro sostenendo che la Rivolta non rispondeva “a logiche precise, a previsioni razionali, a schematizzazione interpretative” (Madeo). Ed evidenziarono “esasperazione, frustrazione, ribellione della folla. Sentimenti e stati d’animo che si ritrovavano a tutti i livelli, senza distinzione di classe
sociale, di colore politico, di età” (Sterpa).

Insomma, “c’erano dentro tutti: borghesi, proletari, giovani, vecchi, comunisti, neofascisti, socialisti, democristiani, repubblicani… Sono… spuntati alcuni capipopolo, ma probabilmente anche senza di essi la rivolta sarebbe esplosa” (Sterpa).

Fonte: Calabria.Live