Sottosviluppo Calabria, la sentenza della Corte dei conti: 'Il bilancio è taroccato'

Calabria: il bilancio regionale è “taroccato”. Lo dice la Corte dei Conti, che mette a nudo l’infernale ‘loop’ del sottosviluppo calabrese

Taroccare i bilanci è usanza assai diffusa nel nostro Paese. Lo fanno le aziende, le grandi società, ma, sfortunatamente, lo fanno anche le regioni e i comuni. Un esempio tristemente lampante è la regione Calabria che, secondo la relazione di parificazione sul bilancio redatta dalla Corte dei conti, avrebbe fatto più di un maquillage per mascherare conti altrimenti terribili.

Una pesantissima cosmesi che, per il presidente della Corte, Vincenzo Lo Presti, sarebbe passata per una lettura “creativa” di crediti e debiti iscritti nei libri contabili, dove i primi risultano sovrastimati (cioè compaiono soldi che non si potranno mai riscuotere per prescrizione, per morte o per sopravvenuta insolvenza del debitore), mentre i secondi sono sottostimati (essendo iscritti “in misura inferiore a quella effettiva o, in qualche caso, non riportandoli affatto”).

RISULTATO

Il bilancio della regione guidata dal Pd Gerardo Mario Oliverio, detto “Palla-Palla”, risulta “alterato” e “in frontale contrasto con gli obblighi di veridicità e trasparenza delle scritture contabili sanciti espressamente dalla nostra Costituzione”.

Per i giudici, scoprire il “giochino” non è stato difficilissimo: è bastato confrontare i debiti/crediti iscritti dalla Regione con i debiti/crediti iscritti dai singoli comuni calabresi. In teoria, la somma dovrebbe fare zero. In realtà fa numeri di fantasia.

Un esempio per tutti è il credito che Regione Calabria vanta nei confronti dei Comuni per la fornitura del servizio idrico: secondo il bilancio regionale, nelle casse dovrebbero arrivare la bellezza di 266.620.466,45 euro; tuttavia, nelle proprie scritture contabili dei capoluoghi di provincia debitori di quei soldi non v’è traccia. Un’asimmetria che fa comodo a tutti, perché “da un lato, i Comuni debitori espongono una situazione patrimoniale migliorata ma non corrispondente a quella reale”; “dall’altro, la Regione riporta, nel rendiconto, come residuo attivo, il predetto credito, il cui adempimento, però, non è stato mai richiesto in via giudiziale (ciò con evidente rischio di prescrizione del credito medesimo)”.

In ogni caso, sono tutti soldi che la Regione non vedrà mai, visto che per legge i crediti vantati nei confronti di comuni “in dissesto o pre-dissesto finanziario” possano essere pagati “abbattendo in parte l’importo originario del debito”. E i comuni in pre-dissesto o in dissesto in Calabria oggi sono 69 su 405!

E, siccome i giudici contabili sono pignoli, hanno estratto a caso tra la gigantesca massa di debiti iscritti a bilancio e hanno analizzato ciò che ne veniva fuori a campione. Il risultato è stato che, per esempio, “la Regione vanta crediti per il servizio di conferimento rifiuti (RR.SS.UU.) per circa 47 milioni di euro di euro verso i Comuni in dissesto; parimenti, i crediti per fornitura idropotabile, sempre verso Comuni in dissesto, sono pari a circa 64 milioni”. Tutti soldi che non vedrà mai.

In generale, se si considera solo quanto riscosso nel 2018 tra tasse e tributi, il saldo di cassa (cioè il rapporto tra entrate e uscite) è negativo per circa 37,5 milioni, mentre a fine 2017 era positivo per 47,5. Ma, e qui siamo nell’incredibile, quel fondo cassa già negativo è ulteriormente “gravato da consistenti pignoramenti che ammontano a circa 111 milioni di euro”.

Ovvero “un quarto delle risorse liquide non sono disponibili perché pignorate” a causa “di oltre 6.700 atti di esecuzione nei confronti della Regione, alcuni risalenti anche al 1999”. “Una simile quota di pignoramenti rappresenta un’anomalia nel panorama nazionale: infatti, oltre alla Calabria, solo la Campania e il Lazio (anche se per quest’ultimo i “vincoli” di cassa sono in diminuzione su base annua) evidenziano quote talmente alte di pignoramenti da rasentare un fenomeno di grave patologia”, scrivono i giudici.

E quando i giudici hanno chiesto quale fosse il motivo di una tale gestione palesemente inefficiente, le risposte della giunta Oliverio hanno ricordato molto la celebre invocazione di John Belushi nel film Blues Brothers quando chiama in causa perfino le cavallette: “la non disponibilità di molti fascicoli del contenzioso più datato, la scarsità di risorse, la poca disponibilità delle Cancellerie e la eccessiva “rigidità” del Tesoriere…”.

Al di là dell’ironia, i pignoramenti dipendono soprattutto dai ritardi nei pagamenti dell’Ente, i quali generano ingenti costi per interessi e spese legali, sottraendo alle già asfittiche casse erariali risorse che potrebbero essere più utilmente destinate per offrire servizi ai cittadini. Qui l’esempio plastico è la gestione sanitaria in cui, solo nell’esercizio 2018 “le Aziende Sanitarie Provinciali e le Aziende Ospedaliere hanno pagato, per interessi e spese legali, la considerevole somma di 23.265.175 euro, un chiaro indice delle inefficienze dell’Amministrazione”. Pleonastico dire che se i pagamenti fossero stati tempestivi, quei 23.265.175 avrebbero potuto essere destinati a incrementare le prestazioni sanitarie, piuttosto che a compensare i creditori per il ritardo nel pagamento.

E per il futuro il trend non cambierà: nonostante le informazioni richieste dalla Corte siano state fornite da Regione Calabria in modo incompleto, i giudici hanno ricostruito che i debiti verso i fornitori degli enti del Sistema Sanitario Regionale attualmente superano 1,1 miliardi di euro. Naturalmente, sono debiti che a loro volta, causano cospicui interessi di mora, anche perché i tempi di pagamento medi delle Aziende nel 2018 sono stati di 212 giorni, mentre gli interessi di mora “scattano” dopo 60 giorni. Così, solo di interessi e oneri accessori si è creato un ulteriore debito di 38.358.052,11 per il 2016 e di 51.165.848,73 euro per il 2017. Per il 2018 siamo già a 23 milioni, ma ogni giorno che passa, la cifra aumenta.

A questi oneri “straordinari” si aggiungono poi le spese correnti: nonostante gli enti del SSR siano soggetti a politiche di contenimento dei costi per il personale e per l’acquisito dei beni e servizi, queste policy vengono ampiamente disattese. In particolare, “i costi per acquisito beni e servizi non solo non sono in calo (come prescriverebbe la normativa regionale, che fissa specifici “tetti di spesa”), ma continuano a crescere e, a fine 2018, sono pari a complessivi 2,9 miliardi, in aumento di 41,3 milioni rispetto al 2017”. Il tutto a fronte di un’offerta di servizi sanitari che “continuano a restare su livelli inadeguati (nella griglia dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) , la Calabria è al penultimo posto in Italia)”.

Con una situazione tanto tragica, la giunta guidata dal Gerardo Mario Oliverio, sarà corsa ai ripari, si potrebbe pensare… Infatti lo ha fatto, varando leggi per il contenimento della spesa pubblica tanto efficaci… da far lievitare gli esborsi della Regione! È il caso paradossale della Legge regionale n. 3 del 13 gennaio 2015, “Misure per il contenimento della spesa regionale”. Tale norma prevedeva che “Ai fini del contenimento della spesa, nelle more della riorganizzazione di Aziende, Agenzie, Enti collegati a qualsiasi titolo alla Regione, Commissioni e Comitati nominati dalla Regione, gli emolumenti e/o gettoni di presenza spettanti ai componenti, anche di vertice, sono ridotti della metà rispetto a quelli attualmente in essere, con decorrenza 1° gennaio 2015”. Cioè dimezzava stipendi e gettoni presenza. Il 25 giugno 2019, però, il Consiglio regionale decide di apportare alcune piccole modifiche lessicali, poche parole, “cosa minima” avrebbe detto Janancci, queste:

la parola “Commissioni” è stata sostituita da un “per”;
le parole “gli emolumenti e/o” sostituite da una “i”;
le parole “anche di vertice” soppresse.

Tanto è bastato per escludere dai tagli tutte le “aziende, agenzie ed enti collegati a qualsiasi titolo alla regione”, nonché le “commissioni e comitati nominati dalla regione”. Non solo, eliminando il riferimento agli “emolumenti” ai componenti “anche di vertice”, ha limitato i tagli ai soli gettoni di presenza, e ha contemporaneamente consentito di ripristinare gli emolumenti in misura piena, “con l’effetto di comportare un aumento della spesa riferita alla finanza regionale allargata”.

LA FORESTA DEI 4.476 FORESTALI

Ma non si può parlare di bilancio regionale calabrese senza un accenno all’esercito dei forestali. Qui i giudici sono stati impietosi, affermando che la piaga non è tanto nel numero di lavori in carico alla Regione – che comunque sonio 3.214 per una spesa complessiva di 117.391.830 milioni di euro -, quanto nella selva di dipendenti sub-regionali.

“I costi del personale (compreso quello interinale) della galassia degli enti partecipati e strumentali, nel medesimo anno, è stato di 287.136.811,42. È da evidenziare l’enorme peso, su tale voce di costo, che ha il c.d. bacino del personale forestale: in base alle risultanze dell’istruttoria specificamente condotta dalla Sezione, è emerso che l’ente strumentale “Calabria Verde” nell’anno 2018 ha nel complesso n. 4.476 dipendenti, quasi tutti a tempo indeterminato, per una spesa totale di 138.265.930,48 euro.

Il “Parco Regionale Naturale delle Serre” impiega invece n. 39 operai forestali a tempo indeterminato, per una spesa annua pari a € 1.067.975,22. Ci sono, inoltre, n. 11 Consorzi di bonifica che, nell’anno 2018, assorbono nelle dotazioni organiche complessivamente 2.261 unità per un costo totale, tra impiegati ed operai forestali, pari a € 73.516.636,49”.

Nella relazione la Corte dei Conti annota, in maniera insolitamente chiara e palese, molti dei motivi del sottosviluppo calabrese, una concatenazione di cause/effetti che descrivono un circolo vizioso infernale. Più o meno questo:

la regione Calabria ha un’evidente difficoltà nella riscossione delle entrate sia tributarie che extratributarie. Ciò ha causato nel tempo la formazione di una massa gigantesca di crediti non riscossi (e che non riscuoterà mai). Tale difficoltà ha come prima conseguenza la riduzione della liquidità di cassa e quindi, l’impossibilità di far fronte ai pagamenti nei tempi previsti.

Il ritardo nei pagamenti, a sua volta, genera mostruosi costi per interessi e spese legali, sottraendo alle casse erariali risorse che potrebbero/dovrebbero essere invece destinate ai servizi per i cittadini.

Non solo: dall’intempestività nei pagamenti derivano anche ulteriori costi per la collettività:

  • gli imprenditori che vendono prestazioni all’Ente mettono in conto, nella loro programmazione finanziaria, il ritardo del pagamento e lo fronteggiano spesso aumentando il costo del servizio reso;
  • gli imprenditori che, invece, hanno già venduto prestazioni all’Ente, soffrono di costanti crisi di liquidità in quanto, da un lato, non riescono a riscuotere il loro credito, causa il ritardo nei pagamenti, dall’altro viene loro intimato di versare tempestivamente contributi e imposte;
  • gli imprenditori, a volte, per ottenere comunque un pagamento ed evitare il fallimento (non licenziando, così, il personale), rinunciano, in sede transattiva, a parte del credito ricevendo, in tal modo, una perdita secca ed irrecuperabile che altera il regime di concorrenza e l’efficientamento del mercato.

“I debiti non vanno nascosti tra le pieghe delle scritture contabili, come la polvere sotto il tappeto”, conclude il presidente Lo Presti, “ma vanno fatti emergere e saldati anche a costo di ridurre quella parte della spesa corrente che non sia espressamente destinata al pagamento di spese obbligatorie dell’Ente. Bisogna evitare, a tutti i costi, di far gravare, sulle generazioni future, i debiti contratti dalle generazioni precedenti, diversamente i nostri figli non potranno avere le nostre stesse opportunità”.

Parole che è difficile non fare proprie.

Fonte: businessinsider.com