Collettiva d’arte “San Francesco da Paola nel seicenetenario della nascita”

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San Francesco da Paola nel seicentenario della nascita” è il titolo della collettiva d’arte presentata presso la Sala del Consiglio della Provincia di Cosenza per la cura scientifica di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona; la mostra è composta da oltre 50 opere contemporanee di artisti calabresi e non che – attraverso la loro opera – hanno donato il loro omaggio al santo calabrese.

Seguendo le indicazioni dalla Lettera pastorale dei Vescovi calabresi promossa per l’avvenimento, l’esposizione affronta i temi della misericordia, della carità e dei valori identitari attraverso un linguaggio simbolico e ricco di poetica contemporanea.

La frugalità consigliata ai fedeli permea dunque le opere degli artisti – tra i quali Andrea Aquilanti, Bizhan Bassiri, Bruno Ceccobelli, Giuseppe Ducrot, Davide D’Elia, Omar Galliani, Giuseppe Gallo, Gianfranco Grosso, Pier Paolo Lista, Serafino Maiorano, Marco Papa, Stefano di Stasio – che hanno prestato il loro genio creativo per unirsi all’appello del taumaturgo: riappropriarsi del vero significato dell’esistenza.

Ciò che appare sin da subito agli occhi del visitatore è la forza simbolica che l’arte, così come la fede, si fa medium a favore dell’uomo per preservarlo dalla caducità della vita e dalle sue tentazioni. La distruzione dei simboli tradizionali, infatti, non esclude la possibilità che appaia un nuovo paesaggio della dimensione simbolica che lungi dall’essere storicamente circoscritta e definita è forse una dimensione inerente all’essere-nel-mondo, così come l’invenzione di forme utopiche è inerente all’esistenza come progetto, come spiegamento critico di possibilità praticabili per l’uomo. L’arte espressa nella mostra dimostra proprio che la de-mitologizzazione propria della modernità non comporta necessariamente una perdita dei simboli. Si osserva, al contrario, una ri-simbolizzazione che passa attraverso l’invenzione di forme e spazi “utopici”: spazi irreali, non-luoghi, labirinti della mente e dell’anima, simmetrie sacrali, nell’ambito di una figurazione vibrante, oggettiva e realizzabile.

L’allestimento è estremante sobrio, la moderazione è voluta anzi ricercata anche dagli stessi artisti che, in quest’ottica, hanno selezionato le loro creazioni. Il percorso visivo è quindi pieno di rimandi simbolici in cui la spiritualità non è riconducibile a delle forme precostituite, sorvolando il limite dell’arte figurativa incapace di rievocare appieno la profondità del messaggio del religioso.

Eppure, a metà percorso, l’incontro con le opere di Giuseppe Ducrot (statua in terracotta di San Francesco) ed Omar Galliani (bittico san Francesco e le monete insanguinate) stupisce per la sinteticità e la forza espressiva, intrappolando l’occhio attento sulla ricchezza sentimentale e sulla contrapposizione tra tensione aulica e manualità.

L’omaggio al Santo patrono calabrese è dunque il risultato di una contaminazione tecnica che muove verso una necessaria riflessione concettuale sulla materia, del suo ingombro nel presente ma capace di essere trasposta, attraverso un atteggiamento che si potrebbe definire missionario, su un alto livello etico, in linea con i canoni dell’ordine dei minimi ed il quarto voto di riconciliazione.

Tre le opere che scegliamo qui di descrivere come sintesi del forte significato spirituale che accompagna l’intera mostra.

Il primo lavoro è quello dell’artista Marco Papa, marchigiano di origine. La sua è la prima delle opere giunte in Calabria presso il Comune di Paola (Cs) per la benedizione presso la casa natale del Santo, manifestazione che ha dato poi il via alle celebrazioni. Marco Papa, per il suo omaggio a Francesco, si è lasciato ispirare dal famoso miracolo dell’agnellino Martinello, compagno inseparabile del santo.

Nella realizzazione dell’opera “il Martinello rampante” l’artista si sfida nell’utilizzo dei materiali, acqua e farine del territorio, con il supporto di maestranze locali, dando vita ad una scultura di pane a rappresentare un agnello che si eleva sulle zampe posteriori e disposto su una lunga pala in legno di faggio a mezz’aria.

In questo modo ha costruito un allusivo confronto tra l’agnello fatto rivivere da san Francesco da Paola, e l’immagine dell’agnello sgozzato e rampante del libro dell’Apocalisse: «un Agnello, in piedi, come immolato» (Ap 5,6) simbolo di Cristo, vittima pura e innocente, e del suo sacrificio martiriale a favore dell’umanità. E utilizzando il pane rimanda anche al senso sacramentale dell’agnello. Cristo, Pane eucaristico, è infatti l’agnello pasquale immolato, che fa rivivere il memoriale della Pasqua alla comunità che si raduna per la santa cena: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!» (Ap 19,9).

E quasi beffardo il fato, il Martinello rampante di Marco Papa, poco prima della benedizione ha subito un increscioso incidente che ne ha causato la rottura; e così, del dono artistico non sono rimasti che gli elementi primi: l’acqua e la farina.

Ed è in questa nuova sembianza che si propone il Martinello di Papa, l’omaggio iconografico di forte slancio spirituale ma soprattutto di riappropriazione, attraverso l’arte, degli elementi più significativi della nostra tradizione, il recupero dei valori reali tra spiritualità, religione, storia, iconografia, leggenda e miracolo.

E’ un prodigio – quello invece scelto dall’artista Andrea Aquilanti –  che, senza dubbio, non si riscontra facilmente nella vita dei santi e che presenta il Taumaturgo calabrese come figura dello stesso Cristo, quando procedeva imponente sulle onde del lago di Tiberiade.

Per tale miracolo – compitosi per mezzo del suo povero mantello –  Pio XII nel 1943 lo nominò Protettore ufficiale della Gente di Mare.

“Se voi non avete denaro da pagarmi, io non ho barca per portarvi” si rivolse con queste parole Pietro Coloso ai pellegrini che gli chiesero il traversamento dello stretto. Un’affermazione che ci avvicina tragicamente alla lettura della cronaca dei migranti dei nostri giorni: un mare di misericordia, una riflessione su come possa trasformarsi da luogo di tragedie per tanti migranti che fuggono da situazioni sociali difficili, in luogo di accoglienza e fraternità.

Ed è probabilmente dalla stessa considerazione che parte il lavoro di Aquilanti; una video installazione che attua una ridefinizione del concetto di immagine, purificata e resa evanescente dal tessuto emozionale del soggetto. Non più solo l’artista, quindi, ma anche l’uomo, l’io spirituale che si esprime attraverso la dualità tra l’immagine pittorica e l’immagine proiettata.  Aquilanti, infatti, giocando e manipolando la luce ed il segno pittorico crea la promessa per una nuova condizione del movimento su una visione stabile ed eterna.

Osservare la sua video installazione “Attraversamento dello stretto videoproiezione su tela con disegno”  rende ben chiara la capacità dell’artista di riuscire ad utilizzare il proprio rapporto con l’immagine ed oggettivarne le sensazioni universali, sovraccariche di immagini legate a quella parte di famiglia umana che lascia faticosamente la propria terra, per necessità o disperazione, e nel quale il cristianesimo contemporaneo deve identificarsi come simbolo del nostro tempo (immagine fissa) pur riconoscendo in essa una globalizzazione positiva (immagine in movimento)  fondata sull’integrazione e sull’incontro delle diversità.

L’opera di Aquilanti, artista romano che ha esposto anche alla V Biennale di Pechino (2012) e da poco presente nel Padiglione Italia della 56. Biennale d’Arte di Venezia, è dunque un altro omaggio diretto della forte fede del Santo che egli traduce attraverso il linguaggio contemporaneo del digitale.

L’ artista di origine calabrese Gianfranco Grosso scardina totalmente la linea rappresentativa scelta dai colleghi. “Il cerchio d’oro” – foglia oro su ferro –  è la rappresentazione dell’attributo figurativo che avvolge di luce il capo dei santi ad indicarne la gloria; un omaggio che può dunque essere esteso alla santificazione generale, al coraggio degli uomini di vivere la propria fede in un secolo ancora bombardato da esplosioni industriali, dal mercato di massa e dalla commercializzazione dell’arte che trovano unico comun denominatore nel concetto di economia; un omaggio, se vogliamo, anche alla “perdita dell’ aureola” di Charles Baudelaire riuscendo, di contro e con grande merito, a rendere comprensibile il linguaggio artistico contemporaneo.

La mostra, che in parte si trova in questi giorni presso il chiostro del Santuario di San Francesco nel Comune di Corigliano, proseguirà il suo cammino verso le città di Napoli, Palermo e Parigi, luoghi in cui l’incontro con altre esperienze religiose influirono molto sulla trasformazione dell’Ordine dei Minimi ma che, al contempo, furono altamente contaminate dalla forza spirituale del Santo.

Anna Infante