Salute mentale – Pensavo fosse amore, invece era un calesse: dall’amore autentico al disturbo dell’attaccamento

L'approfondimento del prof. Zoccali dell'istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria sui concetti di attaccamento e amore da un punto di vista patologico

Prof Rocco Zoccali

Nel panorama delle relazioni affettive, i concetti di attaccamento e amore rappresentano due dimensioni fondamentali, spesso interdipendenti ma di fatto indubbiamente distinte. Quando questi due aspetti si sovrappongono all’interno di una coppia, soprattutto in presenza di una fragilità emotiva legata a disturbi dell’attaccamento, talvolta associati anche al disturbo di panico, possono nascere dinamiche relazionali disfunzionali. In questi casi, ciò che sembra amore autentico può essere sotteso da un attaccamento patologico. Questo tipo di legame dà origine a relazioni ambigue, spesso scambiate per ‘passionali’ o ‘totalizzanti’, ma che in realtà nascono da profondi bisogni di protezione e difesa. Il “non potere vivere senza…”  non è più sostenuto da una esigenza amorosa ma da un meccanismo di compenso volto a colmare il proprio vuoto emotivo.

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Il concetto di attaccamento nasce con gli studi di John Bowlby, che descrive questo sistema come un meccanismo biologicamente innato che, fondamentale per lo sviluppo emotivo e sociale sano dell’individuo, può continuare a operare negli adulti soprattutto nelle relazioni di coppia.  

La qualità delle prime relazioni con le figure di accudimento costituisce la base per lo sviluppo dei cosiddetti modelli operativi interni che determinano il modo in cui le persone si legano agli altri, amano, dipendono e soffrono. Se il bambino nei primi anni di vita ha sperimentato un  ambiente relazionale stabile e accogliente e i suoi bisogni sono stati riconosciuti, validati e soddisfatti con adeguata sensibilità, realizzerà un  attaccamento sicuro  caratterizzato da fiducia, autonomia e regolazione emotiva armonica; di contro, il fallimento o l’incoerenza delle cure parentali determineranno forme di attaccamento insicuro (evitante, ambivalente o disorganizzato), il che predisporrà il soggetto a difficoltà nella regolazione emotiva, nell’autonomia affettiva, per la presenza di paure di abbandono, bisogno di controllo, ipervigilanza o chiusura emotiva. 

Tale contesto emotivo può essere un fattore di rischio per l’insorgenza del Disturbo di panico, patologia che, pur avendo una base neurobiologica ben documentata correlata anche ad una componente genetica, ha effetti significativi anche sul piano intersoggettivo e relazionale. In molte persone, soprattutto se predisposte da una storia di attaccamento insicuro, il panico può riattivare in modo drammatico il bisogno di protezione e vicinanza, portando a una iperattivazione del sistema di attaccamento e la paura del panico diventa paura della solitudine, dell’abbandono e della perdita della figura che dà sicurezza.                       

Interessante potrebbe essere ancheilconsiderare l’ipotesi opposta vale a dire se fosse proprio il disturbo di panico, magari in forma lieve o subclinica, a influenzare i modi con i quali costruiamo i legami affettivi.

Se un bambino sperimenta frequentemente ansia intensa o paura per la presenza di un disturbo di panico anche subclinico, è possibile che cominci a sviluppare un senso di insicurezza anche in un contesto ambientale stabile e accogliente. In altre parole l’allarme “biologico” può indurlo a considerare le relazioni come inaffidabili, imprevedibili o addirittura minacciose. In questi casi, l’attaccamento che si struttura può diventare insicuro e caratterizzato da paura dell’abbandono, bisogno eccessivo di conferme, tendenza a evitare legami profondi per non soffrire. Non solo quindi, l’attaccamento insicuro può generare panico, ma anche il panico, specialmente se sub clinico, in età evolutiva, malgrado un adeguato contenimento emotivo, può favorire l’insorgenza di un disturbo dell’attaccamento.  È un circolo complesso, in cui emozioni e relazioni si influenzano a vicenda”.

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Il sentimento dell’amore e la falsa rappresentazione nell’attaccamento patologico

In relazione a quanto sopra riportato, il soggetto che si ritiene “perdutamente innamorato” potrebbe essere condizionato da un attaccamento disfunzionale che interpreta come sentimento di amore. In questo caso il partner viene vissuto non tanto per ciò che è, ma per ciò che rappresenta: una “base sicura”, una figura che calma l’angoscia, una stampella emotiva. L’amore si basa su compensazione e dipendenza, l’altro è una sorta di “farmaco emotivo”, necessario per evitare il collasso psichico. La relazione si struttura non sulla libertà di scegliersi ogni giorno ma sulla paura di perder l’altro, la paura di rimanere soli. Il partner può diventare prigioniero del ruolo di “regolatore” emotivo, responsabile del benessere dell’altro.  L’amore viene misurato in base alla sofferenza, il dolore diventa la prova d’amore: “più soffro per te, più credo che tu sia importante per me”.

Ovviamente si tratta di una distorsione cognitiva: il malessere non è una prova d’amore, è una spia di dipendenza emotiva, la paura di non esistere senza l’altro.                                                             

In questi casi, anche il sentimento della gelosia, quando è presente, acquista il significato di meccanismo di difesa: evitare di perdere la “base sicura”, cercare di anticipare possibili segnali di abbandono, ricerca di stabilità compensatoria per il senso di vulnerabilità.                                        

L’amore autentico è una forma di amore profonda, matura e consapevole che ha altri parametri di riferimento quali l’accettazione reciproca, il rispetto dei desideri e dell’identità dell’altro, la fiducia reciproca, la libertà di essere se stessi: “ti scelgo perché arricchisci la mia vita”, “ti rispetto nella tua libertà”, “sei una parte importante ma non l’unica”, “anche senza di te riuscirò a vivere la mia vita”.  D’altronde, la nostra cultura romantica ha, nei secoli, glorificato il tormento amoroso dove l’amore viene rappresentato come un’esperienza tragica, irrinunciabile, capace di annientare il soggetto e non come atto di consapevolezza e di maturità. In questa cornice, l’angoscia, la gelosia, la disperazione per l’altro sono vissuti non come segnali di un disagio relazionale o di una disfunzione affettiva, ma come espressioni inevitabili dell’amore “vero”. Il rapporto tra attaccamento e amore si rivela, alla luce dell’approccio psicodinamico, complesso e profondamente ambiguo. Distinguere l’amore autentico dall’attaccamento patologico rappresenta una sfida terapeutica di indubbia rilevanza, ma anche un passaggio fondamentale per aiutare il soggetto a costruire relazioni fondate sulla libertà, consapevolezza e integrità psichica.