Gabriele Parpiglia ricorda la sua Reggio: "Che belle le estati a Scilla"

Tra panini, jukebox, motorini, partite in spiaggia e tanto mare. Gabriele Parpiglia ricorda le sue estati reggine

Un lungo post per ricordare le sue origini, la sua terra, gli anni trascorsi in riva allo Stretto. Gabriele Parpiglia, giornalista, scrittore e autore di diverse trasmissioni Mediaset, attraverso un post pubblicato su Facebook ha rivissuto in particolare l’adolescenza e le estati trascorse a Scilla, tra panini, musica e ovviamente tanto mare.

Queste le parole scritte da Parpiglia, sempre molto legato alla sua Reggio, seppur per motivi personali ha scelto negli ultimi tempi di non tornarci.

Pochi giorni fa una persona dolcissima @federicabeninca mi ha mandato queste foto. Qui c’è la mia infanzia. Lei era Scilla e Chianalea, dove io sono cresciuto. Prima di raccontarvi la bellezza del ❤️ di queste foto, faccio mea culpa.

Il primo che dovrebbe dire a se stesso ‘Predichi bene e razzoli male’ sono io. In Calabria non vado da tempo. Ma ho i miei motivi (personali) e d’estate spesso ho scelto una meta divisa tra: vacanza e lavoro.

E Cmq io quei posti me li sono goduti. Dunque viaggiate con me: quando non c’era il motorino, Reggio Calabria – Scilla si ‘faceva’ in treno. Lo sballo più assoluto era: ascoltare gli 883 con una radio gigante che a turno portava sulle spalle uno di noi. Pochi soldi. Panino da casa. Rigorosamente con frittata o mortadella e il vero LUSSO era custodito in due segreti: la spiaggia libera e la granita dal mitico MCOMO (giuro, si chiamava così).

Caffè e panna con brioche. Se avanzavano 200 lire partita al video game (facendo la fila se prima di te c’era uno bravo che odiavi) o canzone al #jukebox Crescendo si osava. A Scilla diritto con il #booster Se avevi la fidanzata, la guida era pari a 2 km orari di velocità con lei che ti pizzicava i fianchi se c’era una buca o se nel mare una barca si muoveva per i cazzi suoi e sosta dinanzi alla Costa Viola per dire: ‘Bello, vero? Ma andiamo a Scilla’.

Un classico. Se però partiva lo squadrone, i tempi si dimezzavano in 25/30 minuti e ciaone. Gli scogli per tuffarsi (pericolosissimo) erano un cult. E il tempo aveva un valore perché godevi dall’inizio alla fine. Non c’erano #selfie o amici che diventavano estranei perché estraniati dai selfie, #social e così via. C’era la vita reale. Le risse dell’età. I pronostici su ‘Che cazzo facciamo da grandi’.

Le chiacchiere sulla più bella di turno. La voglia di non mettere mai la protezione che mamma aveva nascosto nello zaino #invicta (rigorosamente 50). La voglia di ustionarsi e far la gara a chi fosse il più abbronzato (io perdevo sempre: color Casper il fantasma). E le partite a calcetto che non finivano mai se non tra risse e abbracci poi il rientro stanchi morti perché per noi Scilla era quel cazzo di ‘deca con cui si poteva andar via.