Il giorno della memoria: tenerlo sempre presente
Musikanten, nel giorno della memoria, ricorda come la musica ha affrontato un tema sempre attuale
27 Gennaio 2019 - 19:25 | Enzo Bollani

Oggi è il 27 gennaio e, inevitabilmente, la memoria corre su determinati binari. Per fortuna, la maggior parte di noi non conosce i binari che conducevano a quella che sarebbe stata la fine, se non attraverso gite scolastiche o lezioni al limite dell’aneddotico, tipiche di chi insegna giusto per avere uno stipendio a fine mese.
Oppure, attraverso quelle persone colpite dalla sciagura dell’Ignoranza, capaci di infilarsi magliettine con la scritta “Auschwitzland”. Scene molto recenti, peraltro. Come, soltanto a poche ore fa, risalgono gli scontri tra neonazisti e Forze dell’Ordine, fuori da Auschwitz. Il punto è che non bastano monumenti e musei, anche se non sono mai abbastanza, e in questo è degna di encomio la scelta del nostro sindaco, Giuseppe Falcomatà, nel rivestire la Dea Atena con una mantella rossa.
Ma rimane, forse in filigrana, un senso di fastidio di fronte a quello che la Storia e la follia collettiva ci hanno insegnato. Anzi, alla luce di determinati ritorni e di alcune nuove mode, sembrerebbe quello che è ovvio: non abbiamo imparato. Sea Watch dovrebbe farci guardare l’orologio, quantomeno, ma non basta. Si può solo sperare nella Giustizia, di fronte alle scelte di Salvini, al quale ci siamo consegnati, e che vorrebbe farci dimenticare quel poco che ricordiamo.
A proposito di dimenticarsi, e di quelle pagine di Storia che mai abbastanza hanno raccontato di 6 milioni di ebrei in primis, ma anche omosessuali e altre categorie a caso, parlerei volentieri di Herbert Pagani, un artista ingiustamente dimenticato, tra i pochi a parlare di ciò che è accaduto, se non altro a livello musicale.
Certo, c’è “Auschwitz”, di Francesco Guccini, come esiste anche “Sette Candele”, nascosta nel repertorio di Luca Barbarossa, conosciuta da pochissimi. Ma Herbert Pagani è un caso a parte, perché è un ebreo e perché sono esistiti pochi artisti completi come lui. Nato a Tripoli nel 1944, da una famiglia di ebrei italiani, nel 1952 quando la Libia decise di espellere gli ebrei (certe cose succedono spesso, e non solo a Riace) si trasferì con la famiglia in Italia, vivendo molto anche in Francia.
Nel 1966 incide il suo terzo 45 giri, “Sai che basta l’amore”, che sul lato B contiene la versione in italiano (con il testo dello stesso Pagani) di “Dona dona”, una canzone della tradizione yiddish scritta nel 1935 da Sholom Secunda con il testo di Aaron Zeitlin, che racconta con la metafora di un capretto portato al macello le vicende del popolo ebraico. Herbert Pagani però aggiunge una strofa, ossia quella del bambino portato da un treno a morire, che ha evidenti richiami all’Olocausto.
Pochi anni prima, Joan Baez aveva ripreso il brano con il testo in inglese scritto dal figlio di Sholom, Sheldon Secunda, fedele all’originale, mentre nel 1966 l’aveva incisa nella stessa versione il grandissimo Donovan, peraltro ispiratore Numero 1 di Lucio Battisti. La canzone ha avuto versioni in moltissime lingue: in russo, in polacco, persino in coreano e in vietnamita.
In Italia, vergognosamente, è uscita anche una versione con un testo diverso da quello di Pagani, scritto da Luciano Beretta e Flavio Carraresi, che la banalizza, trasformandola in una banale canzone d’amore, con un titolo da Sanremo pseudointellettualamoroso dududadada: “L’uomo e la donna”. Succede perché in Italia ci si dimentica, e perché forse la DC non aveva molta voglia di lasciar parlare di determinati argomenti.
Motivo per cui, pur non avendo bandiere, la cultura ebraica e soprattutto la Storia hanno trovato rifugio, o un minimo di rispetto, più a sinistra che in altri lidi. Ed è per questo che la Sinistra, ancora oggi, fa vanto di essere padrona della Cultura, amica delle minoranze. Forse più per tornaconto, ma lo fa. Oggi, più che mai, non è tempo per i processi alle intenzioni, quanto per tenere presente, e non in un angolo della Memoria (selettiva), ciò che è accaduto.
“Nemmeno troppo tempo” fa, citando un articolo scritto da Lucio Dalla, anche lui ebreo di padre, su Ulisse, nel 1987. Un capretto Un capretto su un carretto va al macello del giovedì non s´è ancora rassegnato a finire proprio così chiede ad una rondine -Salvami se puoi- lei lo guarda un attimo fa un bel giro in cielo e poi risponde -Siete tutti nati apposta io non c´entro credi a me c´è chi paga in ogni festa questa volta tocca a te.- Un bambino su un vagone va al macello del giovedì non s´è ancora rassegnato a morire proprio così chiede ad un soldato salvami se puoi e lui con la mano lo rimette in fila e poi risponde -Siete in tanti sulla terra io non c´entro credi a me c´è chi paga in ogni guerra e questa volta tocca a te.- Ora dormi caro figlio sta tranquillo che resto qui non è detto che la storia debba sempre finire così il mio bel capretto è nato in libertà finché sono in vita mai nessuno lo toccherà la storia te l´ho raccontata apposta perché un giorno pure tu dovrai fare l´impossibile perchè non succeda più. Siamo madri e siamo figli, tutti nati in libertà ma saremo i responsabili se uno solo pagherà.
Ora dormi
