Caso Rositani: Ciro Russo agì con l'intenzione di uccidere

"Non un delitto d’impeto o un gesto impulsivo, l’imputato ha pianificato con largo anticipo l’azione delittuosa". Le motivazioni del Gup sulla sentenza di Ciro Russo

«Aiuto, mio marito mi ha messo fuoco»: è la stessa Maria Antonietta Rositani a urlare al telefono all’operatore del 113 quello che sta succedendo in via Frangipane. Il suo ex marito l’ha appena speronata con l’auto, cospargendo di benzina la piccola utilitaria della donna.

Le fiamme che si fanno strada, la fuga dall’abitacolo, il nuovo assalto dell’aggressore, la forza di trovare riparo in una pozzanghera: sono un salto nel buio nel mondo della violenza maturata dentro le mura di casa, le motivazioni della sentenza con cui il Gup di Reggio, Valerio Trovato, ha condannato a 18 anni di reclusione Ciro Russo, colpevole di avere appiccato fuoco alla moglie Maria Antonietta Rositani, nel tentativo di ucciderla.

AZIONE PREMEDITATA

«Non un delitto d’impeto o un gesto impulsivo, l’imputato ha al contrario pianificato con largo anticipo l’azione delittuosa – scrive ancora il Gup – La condotta di tentato omicidio si realizza in circa 25 secondi, ma tale breve durata non deve trarre in inganno, in quanto il programma criminoso era ben chiaro nella mente del Russo».

Ciro Russo, il 19 di marzo dello scorso anno ha agito con l’intenzione di uccidere. Un’intenzione che sarebbe maturata nei giorni precedenti agli eventi e che l’imputato ha messo in pratica con lucida e terrificante efficienza omicida: il manichino fatto di cuscini messo a letto per sviare i genitori dove Russo passava i domiciliari per le violenze passate su moglie e figlia; l’arrivo a Reggio in tempo per intercettare la propria “preda” di ritorno dalla scuola dei figli; la manovra che sperona e blocca l’auto della vittima; il doppio assalto con la benzina al grido «muori» urlato in faccia alla donna; la fuga per le vie del centro. Tutto era stato pensato ed eseguito, scrive il giudice, con l’unico intento di non lasciare scampo a Maria Antonietta Rositani, la cui unica colpa era stata quella di avere trovato la forza di denunciare l’ennesima violenza da parte del marito.

VITA DA INCUBO

Una storia fatta di botte, umiliazioni, minacce: una spirale di violenza senza senso ricostruita in 30 pagine di sentenza che ripercorrono un incubo durato anni, con Maria Antonietta Rositani, da mesi ricoverata per la gravità delle ferite subite durante l’attentato, protagonista suo malgrado delle persecuzioni del marito, fino «all’allarmante crescendo di sopraffazioni» in un contesto «di vita familiare divenuto insopportabile per la Rositani – scrive ancora il Gup – in quanto le reiterate condotte poste in essere dall’imputato hanno determinato nella parte offesa, il serio timore per la propria incolumità fisica e psichica, nonchè per quella dei propri figli». Una situazione che era ormai degenerata di fatto in «una condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile per la persona offesa». Un incubo che la Rositani sperava di essersi lasciata alle spalle con le denunce e la richiesta di separazione e che è invece è rispuntato in una mattina di marzo, armato di benzina.