Reggio, operazione Nuovo Corso: 'amicizia' e 'protezione' in cambio di tangenti

Il volto amico dei De Stefano. Nessuna minaccia da parte della cosca De Stefano che professava amicizia e assicurava protezione

Uno stillicidio lungo sei anni: uno stillicidio fatto di vessazioni e danneggiamenti, minacce e lusinghe, rapimenti lampo e offerte di protezione, sullo sfondo di una Reggio che si scopre, ancora una volta, vittima del risiko mafioso imprenditoriale che l’ha divisa in spicchi territoriali a cui le cosche, in fila ordinata, si abbeverano.

«Una dimostrazione plastica di come opera la ‘ndrangheta nella nostra città» dice in conferenza stampa il procuratore capo Giovanni Bombardieri illustrando l’operazione che ha portato in manette Paolo Rosario De Stefano, figlio di Giorgio De Stefano storico boss di Archi, e pezzo grosso della consorteria, e altre quattro persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa e estorsione.

Al centro della vicenda, i lavori per il rifacimento del corso Garibaldi e quelli relativi a piazza Duomo; lavori che si aggiudica  l’imprenditore Francesco Siclari, che quasi immediatamente viene raggiunto da un messaggio della cosca, che, dimostrano le indagini degli ultimi anni, “vanta” una sorta di prelazione per gli appalti che riguardano il cuore della città.

Latore del messaggio è Andrea Giungo che si presenta a Siclari a nome e per conto dei De Stefano, offrendo “protezione” in vista dell’apertura del cantiere.

«L’indagine della mobile – dice ancora Bombardieri – ha messo in luce come gli esponenti della cosca che via via si sono presentati all’imprenditore, lo abbiano fatto prevalentemente senza minacciare ritorsioni, ma professando “amicizia”».

Un’amicizia che – ha raccontato agli inquirenti lo stesso imprenditore vessato, che dopo anni di sofferenza e con la paura di diventare una marionetta nelle mani del clan, si è deciso a denunciare – è finita col costare a Siclari (e al suo socio) una mazzetta da 80 mila euro, pari al 2% dell’intero appalto, versata a rate ai boss che via via si presentavano ad ogni avanzamento dei pagamenti da parte del comune.

«DEVI ESSERE NOSTRO AMICO»

Come molti imprenditori prima di lui, in un gioco perverso di cui non si scorge la fine, Siclari cede alle richieste del clan e, suo malgrado, è costretto a pagare le prime rate che il clan gli ha imposto. Ad aiutarlo a comprendere la gravità della situazione in cui era precipitato, un episodio che sembra tratto da una fiction sui narcos messicani, e che invece si svolge a Reggio, in pieno centro e in pieno giorno.

Siamo nel 2016, e Siclari sta tornando a casa a bordo del suo motorino quando viene affiancato da una moto e “convinto” a salire su un’utilitaria che rapidamente si svincola dalle vie del centro e sbarca in un appartamento nei pressi dell’università. Ad attenderlo, c’è De Stefano in persona, che lo circuisce con proposte di protezione, e che lo invita a diventare amico della loro famiglia.

Una circostanza che, raccontano gli inquirenti, scuote l’imprenditore che si rende conto della portata della “proposta” del boss che vorrebbe fare della sua, un’azienda a disposizione del clan. Da quel momento, Siclari si allontana – o almeno cerca di farlo –  dalle attenzioni dei De Stefano, limitandosi a pagare, fino in fondo, quanto gli è stato imposto. Riscossioni (50 mila euro l’importo delle ultime rate) di cui si occupa un altro imprenditore legato al clan e finito in manette con l’operazione di oggi, Domenico Musolino, in una giostra di imprenditori collusi, costruttori vessati e boss i cui appetiti vengono soddisfatti alla tavola imbandita su una Reggio sempre più “distratta”.