Gotha - Barbe finte, massomafiosi e invisibili: quel potere oscuro che condiziona Reggio

Un viaggio nella Reggio delle segrete stanze del potere quello che il pm della distrettuale antimafia Musolino ripercorre durante la prima delle “sue” giornate di requisitoria al processo Gotha

Confidenti, barbe finte, mafiosi e massoni. E in mezzo pezzi delle istituzioni pericolosamente impegnati a rimanere con un piede da una parte del fiume e l’altro oltre il guado, finendo per confondere le tracce. È un viaggio nella Reggio delle segrete stanze del potere quello che il pm della distrettuale antimafia Musolino ripercorre durante la prima delle “sue” giornate di requisitoria al processo Gotha. Un viaggio che rappresenta «il filo rosso che lega la narrazione di un sistema di potere ambiguo, trasversale che ha oggettivamente condizionato le sorti della città, della provincia e non solo». È un potere mafioso che si discosta dai canoni classici quello descritto dal magistrato nell’aula bunker: un potere che mette in luce un quadro «rispetto al quale io – dice ancora il pm in aula – che in questo momento rappresento lo Stato, provo una sensazione di autentica compassione nei confronti dei miei cittadini. Perché quello che emerge è che ci sono sistemi criminali drammaticamente potenti e che hanno attraversato trasversalmente la classe dirigente cittadina. Un sistema che, stando ai collaboratori, di giustizia sentiti durante il processo, è caratterizzata da promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti istituzionali. Un sistema che i servizi segreti garantivano».

A CIASCUNO IL SUO

Un sistema «incistito» dentro la città che il Pm descrive aiutandosi con le parole di Leonardo Sciascia e che ha alimentato il crimine organizzato nel corso degli anni:

«Senza i rapporti istituzionali coltivati nel tempo e modificati volta per volta – dice Musolino – la ‘ndrangheta non sarebbe stata la pericolosissima organizzazione che conosciamo».

Nel centro del mirino l’avvocato Paolo Romeo – già parlamentare vicino alle posizioni della destra estrema e con alle spalle una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – e Antonio Marra entrambi considerati tra i manovratori occulti del potere criminale in città, entrambi legati ad una stagione che il magistrato antimafia definisce oscura. «a Reggio Calabria, il Ros si trovò con una sezione a fare accordi con l’avvocato Marra per la cattura dei latitanti e con un’altra sezione che intercettava Antonio Marra e Paolo Romeo. Fu un periodo nel quale vi fu uno Stato opaco nella percezione pubblica. Vi furono burattinai che governarono, per interessi diversi, anche la macchina repressiva».