Processo Lucano, il Pm: ‘A Riace accoglienza mitizzata ma ai migranti andavano le briciole’

La Procura di Locri tratteggia un quadro a tinte fosche sul “modello Riace”

Venti anni di accoglienza, centinaia di persone sottratte ai trafficanti di mezzo mondo che sulle rotte calabresi hanno costruito fortune immense, decine di tesi di laurea, migliaia di articoli e inchieste giornalistiche sul paesino che era emerso dall’anonimato grigio della periferia estrema puntando sugli ultimi, persino un film.

Nessuno, evidentemente, aveva capito nulla.
Almeno a sentire la pesantissima requisitoria del processo Xenia, dove il Procuratore D’Alessio e i sostituti Permugnan e Currao, hanno tratteggiato un quadro a tinte fosche sul “modello Riace”, sul suo «dominus» Mimmo Lucano e sulle cooperative che quel progetto lo hanno messo in opera negli anni.

Riace, intesa come capitale italiana dell’integrazione tra etnie diverse «rappresenta l’opposto dello spirito  dell’accoglienza – dice in apertura D’Alessio – un sistema che ha attirato congrui finanziamenti e che è caratterizzato da una “mala gestio” che vede come parte lesa i migranti stessi».

Non usa mezzi termini la Procura di Locri nel descrivere l’ipotesi dell’accusa: da una parte difende il procedimento «che non ha nulla di politico, né nella sua genesi, né nel sul sviluppo successivo ma che ha avuto una eco mediatica molto difficile da sostenere», e dall’altra demolisce quello che aveva portato il piccolo centro jonico al centro dell’attenzione mondiale per il suo modello di integrazione “controcorrente”.

«Qui l’accoglienza è stata mitizzata. Il denaro arrivava cospicuo, ma ai migranti finivano solo le briciole perché tutto veniva gestito mirando al consenso personale per coltivare le proprie clientele elettorali – dice ancora D’Alessio prima di passare la palla ai suoi sostituti – personalmente auspico che Riace possa tornare al centro dell’attenzione del mondo intero per l’accoglienza, ma non sulle spalle di tutte queste persone “portate dal vento”».