Processo Miramare, si torna in aula. Spada di Damocle su Sindaco ed (ex) Alfieri

In caso di condanna, sugli amministratori potrebbe calare, come è stato per la Marcianò, la spada di Damocle della legge Severino

Si ricomincia. Nemmeno il tempo di archiviare la (freschissima) sospensione dell’ex candidata a sindaco Angela Marcianò – arrivata una manciata di giorni fa in sede di proclamazione degli eletti – che il processo sul pasticciaccio del Miramare (abuso d’ufficio, falsità ideologica e materiale da parte di pubblico ufficiale le ipotesi di reato messe sul tavolo dalla procura) torna il aula.

Alla sbarra, praticamente tutta l’ex giunta municipale della città dello Stretto, con il sindaco rieletto Giuseppe Falcomatà in testa, seguito in buona compagnia dai suoi (ex) alfieri Armando Neri, Saverio Anghelone, Giovanni Muraca e Giuseppe Marino e da Antonino Zimbalatti, Patrizia Nardi, Agata Quattrone che in qualità di ex assessori sarebbero stati presenti al momento della firma sulla delibera incriminata.

LA DELIBERA

Al centro di questa vicenda che tormenta il futuro prossimo del neo rieletto sindaco – e che è già costata una condanna ad un anno di reclusione con pena sospesa alla Marcianò, ritenuta colpevole nel processo abbreviato di primo grado – c’è l’assegnazione di una parte dell’hotel Miramare, la storica, bellissima, struttura turistica liberty affacciata sullo Stretto, in favore dell’associazione “il sottoscala” e del suo presidente Paolo Zagarella, anche lui alla sbarra. Zagarella infatti sarebbe un vecchio amico di Falcomatà: un’amicizia consolidata anche dal prestito di un locale che lo stesso Zagarella avrebbe prestato al sindaco che ci avrebbe sistemato la propria segreteria politica ai tempi della prima campagna elettorale.

Nell’ipotesi formulata dal sostituto procuratore Walter Ignazzitto, Falcomatà non si sarebbe astenuto, così come prevede la norma, nella votazione della delibera che autorizzava la concessione di parte dei locali del Miramare.

Lo scandalo – l’ennesimo in qualche modo legato alla struttura alberghiera della via Marina Alta – era esploso all’indomani delle denunce di Enzo Vacalabre che, prima a luglio del 2015 e poi ad agosto con un sit in e un esposto in Procura, aveva segnalato la presenza di operai all’interno dell’albergo.

Il processo che domani torna in aula per l’escussione di alcuni testi dell’accusa, rischia di costare carissimo alla vecchia (nuova) giunta. Considerato infatti l’esito dello stralcio in abbreviato – in cui erano ipotizzati gli stessi capi d’imputazione – in caso di condanna, sugli amministratori potrebbe calare, come è stato per la Marcianò, la spada di Damocle della legge Severino.