Salute mentale – La realtà virtuale come strumento di cura: una finestra sulla nuova era delle ‘tecnologie emozionali’

Uno strumento che potrebbe rappresentare un punto di svolta. L'approfondimento dell'esperto dell'Istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

dott Vincenzo Messina

Negli ultimi anni, camminando lungo i corridoi di molti centri di salute mentale, ci si imbatte sempre più spesso in visori dal design avveniristico: cuffie imbottite, sensori di movimento e ambienti tridimensionali pronti ad accogliere chi soffre di ansia, fobie o disturbi post-traumatici. L’idea che la realtà virtuale (VR) – nata per il gaming e l’intrattenimento – potesse trasformarsi in strumento di cura sembrava, fino a poco tempo fa, un azzardo degno di film come “Ritorno al futuro”.

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L’intuizione terapeutica della VR si fonda sulla possibilità che, tramite visori e software appositamente progettati, il paziente possa immergersi realisticamente in scenari trigger dove gradualmente confrontarsi con ciò che teme. Alla base di queste tecniche terapeutiche ruotano i concetti di esposizione controllata e rielaborazione cognitiva guidata, mediata sempre dalla supervisione attenta e costante del terapeuta.                                                                                  

Immaginate un veterano che, con il casco in testa, rivive in sicurezza i rumori e le situazioni di un campo di battaglia, guidato passo dopo passo dal terapeuta: questo approccio, noto come terapia di esposizione virtuale, ha già mostrato una riduzione dei sintomi del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) fino al 40% dopo 8–10 sedute eseguite in cicli della durata di poche settimane” (Smith et al., 2023).

Allo stesso modo, tale strumento potrebbe rappresentare un punto di svolta per chi soffre di fobie specifiche come l’agorafobia, l’acrofobia (paura dell’altezza, ndr) o di patologie legate a reazioni ansiose abnormi e incontrollate (es. ansia sociale).

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Queste modalità di intervento danno un vantaggio unico: un’esposizione “realistica” con zero rischi “reali”. Diversi trial controllati hanno dimostrato infatti, come questi protocolli consentano di raggiungere tassi di successo comparabili alla terapia d’esposizione in vivo, con il vantaggio di una maggiore sicurezza e di un abbattimento dei costi legati all’organizzazione di sessioni reali (Jones & Lee, 2024).                                                                       

Nel contesto dell’assistenza psicologica contemporanea, la Realtà Virtuale (VR) non può più essere relegata al ruolo di semplice curiosità tecnologica o di strumento sperimentale confinato ai laboratori di ricerca. Al contrario, essa rappresenta oggi una risorsa concreta e innovativa, capace di arricchire in modo significativo il repertorio operativo del professionista della salute mentale. La VR si configura come un efficace facilitatore del processo terapeutico: consente la creazione di ambienti protetti e controllati, permette la modulazione precisa degli stimoli presentati al paziente, e fornisce al clinico dati immediati e rilevanti per la valutazione e l’intervento. Tuttavia, è la competenza del terapeuta – nella scelta, nell’adattamento e nell’interpretazione dell’esperienza virtuale – a determinarne l’efficacia clinica, trasformando l’esperienza immersiva in un’opportunità concreta di cambiamento psicologico.

Nel prossimo futuro, immaginando visori sempre più leggeri, ambienti adattativi in base alle emozioni registrate con sensori biometrici e scenari modellati da intelligenza artificiale, potremo assistere a percorsi terapeutici sempre più personalizzati. Allo stesso tempo, rimane indispensabile ricordare che nessuna tecnologia, per quanto avanzata, può sostituire completamente il rapporto umano tra paziente e professionista.                                                          

Queste innovazioni stanno trasformando quella che un tempo era solo una speranza definita “immersività terapeutica” – in una vera e propria realtà terapeutica rivoluzionaria  del come  prendersi cura della mente. Una rivoluzione capace di adattarsi alle esigenze di ogni paziente, restituendo, scena dopo scena, quel senso di sicurezza e controllo che la realtà di tutti i giorni, a volte, tende ad annullare.