Il reggino Gianluca Meduri: “La passione per la fotografia e l’amore per la mia terra”
04 Gennaio 2018 - 12:30 | di Vincenzo Comi
di Pasquale Romano – La fotografia come passione di vita. Il reggino Gianluca Meduri, dopo un tardo ‘innamoramento’ per l’immagine e i racconti ad essa legata, si è completamente immerso nella fotografia. Diverse le soddisfazioni ottenute negli ultimi anni, su tutte le collaborazioni con il settimanale L’Espresso. Ai microfoni di Citynow, il racconto del suo percorso professionale.
Gianluca, iniziamo dalla domanda più banale. Cosa significa per te fotografare e cosa provi mentre scatti?
“La fotografia per me è narrazione, uno strumento per raccontare la realtà, è riuscire a descrivere situazioni senza aver bisogno di parole. Che si tratti di documentare un territorio o un matrimonio, l’importante è “arrivare” al fruitore finale. Quando fotografo provo serenità. La stessa che cerco di trasmettere coi miei scatti”.
Quando ti sei avvicinato al mondo della fotografia e per quali ragioni?
“Scatto in modo consapevole dal 2009, l’anno successivo ho iniziato con le prime cerimonie. La passione è nel dna familiare, me l’ha trasmessa mio padre. Anche ‘fisicamente’, considerato che mi ha donato la sua reflex”.
Nel 2015 arriva la svolta. Il tuo percorso devia, e si arricchisce di conoscenza.
“Tramite un Corso di alta formazione in Fotogiornalismo ambientale e naturalistico presso la Bluocean ho conosciuto da vicino l’approccio documentaristico. Grazie a quel corso ho capito davvero cosa è la fotografia, soprattutto ho compreso cosa voglio fotografare e in quale modo”.
Nel 2016, tramite lo stesso corso, conosci Tiziana Faraoni, photoeditor de L’Espresso e direttrice artistica di FotoLeggendo. I tuoi lavori la conquistano e nasce l’opportunità di collaborare. Un tuo servizio viene pubblicato sul noto settimanale.
“Non me l’aspettavo, ricevere la chiamata de L’Espresso mi ha stupito. La prima collaborazione è stata sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Con circa 70 scatti ho raccontato la mia visione dell’eterna incompiuta, nella versione cartacea del giornale ne sono stati pubblicati 4”.
Il tuo modo di scattare è particolare, insolito. Prediligi infatti il formato quadrato (1:1), lontano da tutte le convenzioni. Come mai?
“La mia scelta nasce dal voler concentrarmi, e mettere in evidenza, quello che mi interessa davvero. In sintesi, far emergere il ‘cuore’ di uno scatto. Negli ultimi anni l’utilizzo del formato quadrato sta aumentando, seppur quasi mai viene scelto per i reportage”.
Arriva il momento della seconda collaborazione con L’Espresso. Questa volta sulle politiche attive del governo, con riferimento ad alcuni centri per l’impiego calabresi.
“Ho fotografato, nello specifico, quelli di Policastro e Vibo Valentia. Sono uffici abbandonati, metafora di un contesto isolato. E’ un triste spaccato della Calabria, la scelta di rappresentarlo nasce dalla volontà di veder risolti questi problemi”.
Negli ultimi mesi ti stai dedicando ad un nuovo progetto, ancora legato a doppio filo con il territorio che ti circonda. Di cosa si tratta?
“Si chiama ‘Halex Flu’, è un lavoro sulla Fiumara Amendolea e l’importanza fondamentale che ha rivestito nella storia. Ho fotografato anche Gallicianò, altro luogo incantevole. Sono ancora a metà del lavoro, mi interessa enormemente sviscerare quel territorio. Ha tanto da raccontare”.
In particolare cosa ti ha colpito ?
“E’ un esempio di speranza e riscatto che spero si possa estendere a tutta la città. Ci sono persone e associazioni che stanno provando in tutti i modi a recuperare quel territorio. Mi piace evidenziare il caso di un ragazzo svizzero che trascorre sei mesi l’anno in quei luoghi. Si dedica al restauro della casa, è una storia particolare che credo vada raccontata”.
Da fotografo, quindi con sguardo acuto e attento, come vedi Reggio Calabria?
“La visione non è del tutto positiva ma ci sono spiragli di speranza. C’è chi la ripudia, la maltratta, questa è la cosa che più mi fa arrabbiare. Ho viaggiato molto, visitato diverse nazioni, ma alla fine sono tornato qui. Come mai? Perchè credo e spero di poterci rimanere, svolgendo il lavoro che amo, anche se sono consapevole che non sarà semplice”.
Raccontare attraverso gli scatti i ‘luoghi dell’anima’ ha un significato particolare?
“Credo che fotografare la propria terra rappresenti, tra le altre cose, un atto di romanticismo. Un modo per scoprire e riscoprire quello che ci sta più vicino Questo reportage mi ha dato conferma di quanto pura, tenace, orgogliosa e ricca sia la Calabria. Terra con una grande ricchezza d’animo e grande apertura”.