Reggio e quel patto letale col ‘diavolo’: ‘Spaccato inquietante, un voto costa 20 euro’

Dall'indagine emerge un rastrellamento di voti nel territorio reggino in occasione delle elezioni regionali del 2020

operazione millennium ()

Accordi tra ‘ndrangheta e alcuni esponenti politici dietro i quali, in cambio di voti si offrivano incarichi e favori. Le intese tra faccendieri politici ed esponenti delle cosche reggine costituivano un vero e proprio patto col ‘diavolo’, ovvero con la ‘ndrangheta.

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La sensazione, all’indomani dell’operazione Millennium, è quella di vivere un loop perchè da decenni ormai si alternano inchieste che, ad ogni tornata elettorale, evidenziano e fotografano scambi elettorali politici mafiosi.

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“Dall’indagine emerge uno spaccato che è veramente inquietante – ha spiegato il procuratore aggiunto Walter Ignazzitto nel corso della conferenza stampa di ieri – Alcuni soggetti, a prescindere dal partito politico, aspetto che non interessa minimamente agli indagati, si sono posti al servizio del miglior offerente per raccogliere voti presso le ‘ndrine. C’è stato un vero e proprio ‘risiko’ di pacchetti elettorali programamto prima delle elezioni. Dagli atti emerge chiara la compravendita di voti, un voto a Reggio costa 20 euro, tanto per intenderci”.

Pochi euro dunque bastano per mettere una ‘x’ al diritto al voto.

Dall’operazione è stata accertata l’esistenza di un’associazione a delinquere promossa da uno degli arrestati e finalizzata a favorire l’associazione mafiosa attraverso pratiche illegali di procacciamento di voti in diverse consultazioni elettorali e in particolare per una candidata (poi non eletta) alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria alle elezioni del 2020.

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«Il Giudice per le indagini preliminari ha riconosciuto tra l’altro, l’esistenza di un’associazione per delinquere che lo stesso giudice definisce una “squadra” formata da circa dieci persone – ha evidenziato Ignazitto – che ricercavano sottobanco l’accordo con la criminalità organizzata e hanno pianificato,
progettato e in parte messo in atto un fenomeno di baratto, per cui all’elezione del candidato prescelto sarebbe dovuta conseguire una serie di vantaggi in termini di incarichi, di favori, di riconoscimenti di vario
tipo da parte di colei che si riteneva e si auspicava potesse essere eletta al Consiglio regionale è stata messa in atto tutta una serie di operazioni che avrebbero dovuto garantire favori anche al di fuori del Consiglio regionale, per esempio in altri ambiti della pubblica amministrazione. Il giudice per le indagini preliminari ha riconosciuto l’esistenza dell’associazione in questione, ha riconosciuto l’esistenza di una serie di fatti di scambio politico-mafioso, non ha riconosciuto però l’aggravante dell’agevolazione mafiosa”.

E ancora.

“Ci sono passaggi delle intercettazioni – ha concluso il procuratore aggiunto – che inquietano davvero, in cui sostanzialmente dicono che il “patto col diavolo lo facciamo noi” e quindi, di fatto, lasciando così apparentemente indenne il politico, che non deve sporcarsi le mani in modo da non comprometterne l’immagine nell’opinione pubblica”.