Riace, i giudici d'Appello: Trifoli non poteva candidarsi

A stabilire la decadenza l'incompatibilità tra il suo ruolo di Sindaco e il suo ruolo di dipendente comunale (in aspettativa)

Non poteva candidarsi Antonio Trifoli. A ribadirlo, una sentenza della corte d’Appello di Reggio che, lo scorso 7 ottobre – riferisce Simona Musco su Il Dubbio – ha fissato il punto su una storia che si trascina ormai da mesi e che conferma quanto stabilito dal giudice di primo grado che sanciva la decadenza del primo cittadino di Riace: Trifoli, alla competizione per il seggio più alto del paese dell’accoglienza, non avrebbe potuto nemmeno iscriversi.

È una storia ingarbugliata di schizofrenica burocrazia quella che vede protagonista l’esponente leghista finito inaspettatamente alla guida di quello che era conosciuto nel mondo come un modello di integrazione riuscita. Una storia ingarbugliata che rimbalza tra aspettative, incarichi a tempo determinato e passati da lavoratore socialmente utile e che rotola fino al vicino comune di Marina di Gioiosa, dove il sindaco in bilico aveva trovato la sponda giusta nel collega Geppo Femia che ne aveva accettato la richiesta di trasferimento nella pianta organica in forza al comune. Due gli scenari possibili che si delineano adesso alla luce di questo nuovo pronunciamento dei giudici: il commissariamento del comune con conseguenti nuove elezioni o, in attesa di un ricorso in Cassazione da parte di Trifoli, una reggenza del vice sindaco Salerno in attesa della decisione dei supremi giudici.

Di certo, resta la travagliata storia della giunta comunale a trazione leghista che anche approfittando dell’impossibilità di Mimmo Lucano di presenziare direttamente alla campagna elettorale (in quel periodo sull’ex sindaco dell’accoglienza vigeva il divieto di ingresso in paese in seguito al suo arresto disposto dalla Procura di Locri), si aggiudicò la competizione elettorale prendendo, sulla scia di Salvini alla guida del Viminale, immediatamente le distanze dalle politiche che lo avevano preceduto.