Il senso di Nina per quella terra sospesa chiamata Locride

Amore, sesso e violenza lungo una provincia profonda che si scopre viva nonostante tutto nel nuovo libro di Margherita Catanzariti.

Una provincia, intesa come margine estremo dei sentimenti umani prima ancora che limes geografico, molto meno scontata di quello che appare. Un groviglio di amicizie, violenze e sesso che nasconde un patrimonio antico come le rocce d’Aspromonte e tenebroso come lo spauracchio del crimine organizzato.

LA LOCRIDE PROTAGONISTA

E in mezzo Nina, che di questa provincia meravigliosa e un po’ scalcinata, diviene vittima e carnefice di un’umanità sospesa tra un passato mitizzato oltre ogni misura e un presente confuso dalla modernità globale. È la Locride il vero, sommerso, protagonista dell’ultimo libro di Margherita Catanzariti (Sei nelle mie radici, 171 pagine, edizioni Città del Sole): la Locride con le sue mille contraddizioni e la sua umanità figlia di millenni di dominazioni straniere. Ci sono i “niricelli” dei progetti di accoglienza e le Marylin di paese; ci sono quelli che sono partiti ma che non riescono a tranciare il cordone ombelicare con il proprio passato e quelli che sono tornati e che non riescono fino in fondo a riadattarsi ai suoi ritmi indolenti.

locride

E poi c’è il sesso, vissuto dai protagonisti (lo scrittore famoso, l’amica femminista, il figlio del boss mandato al macello, la maestrina navescuola) come àncora a cui aggrapparsi quando tutto sembra crollare sotto il peso di una realtà immobile. Il sesso che brucia tra il ragazzo nato nella famiglia sbagliata e la ragazza che non voleva diventare una beghina di periferia; quello che unisce tre amici in una serata alcolica e quello, tossico, che si trasforma in violenza cieca: un vortice impazzito di corpi che si cercano e (non sempre) si trovano e che intrecciano generazioni diverse che (forse) hanno paura delle chiacchiere ma che certo non si fanno inibire dagli sguardi sbilenchi delle vecchie ammantate di nero.

UN LIBRO VELOCE, A TRATTI CRUDELE

E poi le casalinghe disperate che si avventano su un gruppo di migranti dai fisici scolpiti, e le associazioni “umanitarie” che per celare le proprie inadeguatezze si nascondo dietro lo scontato babau della ‘ndrangheta, in una rivisitazione autentica – e finalmente scevra dai luoghi comuni che circondano l’accoglienza – di quanto succede nel cuore di questo micro universo piantato nel cuore del Mediterraneo. Un libro intenso, veloce, a tratti crudele: un libro che ammicca alla forma e si aggrappa alla sostanza di un popolo che “vuole essere parlato” prima ancora che compatito.