'Lo Stato in conflitto con se stesso'

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di un professionista reggino riguardante l'avviso di garanzia notificato al sindaco di Crema

Ristobottega

“L’avviso di garanzia notificato al sindaco di Crema, a causa di un bambino che si è chiuso la mano in una porta antincendio, rappresenta l’ennesimo episodio di attribuzione della responsabilità penale per responsabilità oggettiva, da posizione “di garanzia”.

Si noti, la notifica è al Sindaco e non al Dirigente responsabile della manutenzione.


Gli amministratori locali, quelli onesti, sono sottoposti ad una quotidiana vessazione proveniente da più parti.

Da un lato, cittadini che protestano per i numerosissimi problemi quotidiani che non si riescono a risolvere. Poi vi sono altri che sfogano la rabbia oltre ogni misura e correttezza.

Dall’altro lato, una selva di norme e di regolamenti, spesso in contraddizione che, di fatto, impediscono la definizione di qualsiasi problema in tempi ragionevoli e accettabili e che rendono estremamente complessi i relativi procedimenti amministrativi.

A questa situazione si aggiunge il taglio progressivo delle risorse umane e finanziarie che ha impoverito l’efficienza della pubblica amministrazione, soprattutto negli enti locali.

Si crea così un corto circuito amministrativo nel quale rimangono impigliati tutti gli amministratori onesti, animati da buona fede e voglia di dare risposte ai loro concittadini.

Questi amministratori sono sempre più posti davanti a un dilemma: assumersi la responsabilità di raggiungere obiettivi che si intravedono ma che sembra contorto raggiungere, oppure soccombere davanti all’evidenza di non riuscire a concretizzare soluzioni anche semplici.

Ristobottega

I Dirigenti della PA sembra che, a volte, come impegno principale del loro lavoro, siano costretti a scansare profili di responsabilità e, quindi, redistribuiscono competenze e funzioni all’interno del procedimento amministrativo ai livelli inferiori. Quindi tutto si blocca.

Si blocca tutto, altresì, perché piccole e grandi amministrazioni spesso non hanno alcuna competenza per governare fatti proceduralmente complessi.

In questo contesto è facile incorrere in procedimenti penali che tendono ad accettare la rilevanza di condotte che, ortodosse o meno, hanno magari lo scopo esclusivo di uscire dalle sabbie mobili.

Le statistiche che dimostrano i tempi estenuanti di realizzazione di un’opera pubblica sono eloquenti.

La mancata capacità di spesa delle risorse straordinarie confermano la tesi esposta.

Gli amministratori locali onesti sono tra l’incudine e il martello.

Subiscono attacchi da tutti. Ecco perché molte persone, che hanno da perdere, non si impegnano nell’amministrazione della cosa pubblica.

La magistratura, anziché incidere nella distinzione tra corrotti e collusi e amministratori che magari commettono solo meri errori, protesa nel perseguire fatti potenzialmente rilevanti per l’obbligo dell’azione penale, perde di vista la dinamica incolpevole nella quale si iscrivono quegli stessi fatti, offrendo una lettura statica e formalista delle vicende che giudica.

Ristobottega

Così facendo finisce per scoraggiare definitivamente le migliori energie nel porsi al servizio delle loro comunità.

Come uscirne?

Semplificando a tal punto da sacrificare i principi di legalità e trasparenza?

Oppure creando uno Stato di polizia, di fatto antidemocratico, che penetra nell’intimo delle relazioni e ascolta tutto e tutti preventivamente, in modo da evitare deviazioni? Anche se il rischio di equivoco è comunque sempre presente.

Per questo insorge a volte la reazione opposta di asservire l’azione giudiziaria al potere politico o, più banalmente, il tentativo di compromessi e collusioni tra potere politico e ordine giudiziario.

L’alternativa potrebbe essere prodotta perseguendo penalmente solo fatti gravi e lasciando al giudizio civile o amministrativo la tutela dei diritti eventualmente violati dei cittadini?

È una questione di scelta del modello di società nella quale vogliamo vivere il poco tempo che abbiamo. Certo è che non possiamo più permetterci di rimanere in questa situazione”.

di Sergio Laganà, Avvocato