di Aldo Sconti. Nella loro trentennale carriera, i Bon Jovi hanno suonato negli stadi più prestigiosi del mondo ma, prima di sabato sera, non avevano mai suonato a San Siro. Segno di un rapporto particolare della band del New Jersey con il pubblico italiano, fatto di ups and downs soprattutto negli anni 2000. Durante il tour del 2011, però, il ritorno della band in Italia allo stadio di Udine ha rinsaldato l’amore tra il frontman Jon Bon Jovi e la terra dei suoi avi, con un concerto memorabile che ha gettato le basi per lo spettacolo del Meazza. Così, alle 20.30, Jon e la band in formazione rimaneggiata (manca il chitarrista storico Richie Sambora, sostituito dall’ottimo turnista Phil X) si presentano puntali davanti ai 50.000 di San Siro, pieno ma non esaurito. Il palco è una gigantesca riproduzione del cofano di una Buick, circondato da megaschermi. Attaccano con “That’s What The Water Made”, brano dall’ultimo album “Because We Can”, prima di lanciarsi in un set di hits che coprono tre decadi di rock and roll: il pop metal di “You Give A Love a Bad Name” e Bad Medicine” dagli 80’s, il rock più maturo di “Keep The Faith” e “In These Arms” degli anni 90, le canzoni pop dei 2000 con “It’s My Life” e “Who’s Says You Can’t Go Home”. E’ però durante “Because We Can”, primo singolo dell’ultimo lavoro di Jon e soci, che il concerto prende una svolta inaspettata. I tre anelli dello stadio si colorano di bianco rosso e blu, formando la scritta “Bon Jovi Forever”, mentre dal secondo anello cala uno striscione che ripercorre gli eventi più significativi degli ultimi 30 anni di storia, lasciando come ultima “2013: Bon Jovi a San Siro”. Come già accaduto con Bruce Springsteen poche settimane prima, il Meazza riesce a commuovere i grandi artisti che suonano tra le sue storiche mura. Jon Bon jovi ne ha viste tante ma, davanti a una tale dimostrazione di affetto, non riesce a trattenere le lacrime ed è costretto a interrompere la canzone, che sarà poi rieseguita daccapo. “Ho pianto come una ragazzina”, ammetterà poco dopo. La band e il pubblico sanno che sarebbe stata una serata speciale. Il main set dura poco meno di due ore ma le ben undici canzoni eseguite durante i bis porteranno la durata totale del concerto a superare abbondantemente le tre ore.Su “Livin On A Prayer” lo stadio esplode in un boato di salti e urla, “Wanted Dead Or Alive” fa sognare con le sue atmosfere western mentre “Always” ricorda vecchi amori estivi e illumina la notte di Milano con migliaia di accendini. Bon Jovi prova più volte ad abbandonare il palco ma viene trattenuto dai cori dei fans che lo acclamano. La canzone di chiusura viene fatta scegliere al pubblico, col frontman che snocciola le possibili alternative per saggiare il gradimento degli spettatori. Alla fine, il pezzo più acclamato è un’altra ballata, “This Ain’t A Love Song” in una delle sue rare apparizione nelle scalette della band. “Se l’amore che ho per te è andato, se i fiumi di lacrime versate non sono abbastanza lunghi, allora ho sbagliato: questa non è una canzone d’amore”, recita il testo. Non sarà una canzone d’amore ma questa serata per la band del New Jersey e i 50.000 di San Siro ha il gusto di una lunga, passionale e malinconica serenata.