Violenza di gruppo su minorenne, il caso di Seminara a Le Iene: ‘La colpa è della famiglia’
L'inviata del programma Mediaset ha raccolto le testimonianze di alcuni cittadini e della famiglia della ragazza: "Siamo stati abbandonati"
03 Aprile 2025 - 15:34 | di Redazione

Una storia che scuote la Calabria e l’intera Italia. Una ragazzina di 14 anni, per due anni, è stata vittima di abusi sessuali di gruppo nel comune di Seminara, in provincia di Reggio Calabria. Gli aggressori? Una ventina di ragazzi, alcuni dei quali minorenni. I carnefici sono stati condannati in primo grado, ma la cosa inquietante, rilevata da Le Iene, è che il paese sembra giustificare loro, e non la vittima.
Una rete di violenza e ricatti
Gli abusi sarebbero iniziati quando la giovane aveva solo 12 anni. Secondo quanto raccontato dalla madre a Le Iene, tutto è cominciato con Giuseppe Caia, detto “Peppe”, di cui la figlia era innamorata.
“Un giorno si presenta con suo fratello e altri amici dicendole che se lei gli vuole bene, allora deve stare anche con gli altri”.
Da quel momento si è creato un sistema di violenza, umiliazione e ricatti. La ragazza sarebbe stata obbligata ad avere rapporti con altri ragazzi, per mesi, in silenzio e nel terrore.
Le indagini e le prime condanne
Grazie a un lavoro accurato degli inquirenti, supportato da intercettazioni telefoniche e ambientali, sono stati identificati 18 ragazzi: 12 maggiorenni e 6 minorenni. Dopo il processo, sono arrivate le prime condanne in primo grado, confermando la gravità dei fatti.
Un paese che volta le spalle alla vittima
Nonostante le condanne, ciò che sconvolge è il comportamento della comunità di Seminara.
L’inviata de Le Iene, Alice Martinelli, si è recata sul posto per cercare testimonianze. Ma quasi nessuno ha voluto parlare. C’è chi è scappato in casa alla sua vista, chi ha detto “volete metterci nei guai” mimando una mitragliatrice, chi ha difeso gli imputati con dichiarazioni sconcertanti.
Molti degli indagati sarebbero infatti figli di uomini legati alla locale di ‘ndrangheta Caia-Gioffrè-Laganà.
Gli insulti sui social
Non solo l’omertà. La ragazza è stata anche insultata online.
“L’hanno chiamata puttana, prostituta”, ha raccontato la madre. Insultavano anche me, dicevano che non le avevo insegnato le cose giuste”.
E in paese si rincorrono voci terribili:
- “La voce in giro c’era, quindi se volevano, sapevano”
- “Usciva tutte le notti, la famiglia era consapevole”
- “La famiglia non è stata dietro la figlia”
- “Dovevano tenerla chiusa in casa e denunciare subito”
- “Tra amici, anche se era una cosa sbagliata, ne approfittavano tutti”.
“Un mondo al contrario”: la riflessione della psicoterapeuta
A commentare la vicenda anche la psicoterapeuta Giada Maslovaric, intervistata da Le Iene:
“Qui è proprio la narrativa di un mondo al contrario. Dove la vittima diventa colpevole e i carnefici diventano vittime. Nessuno si concentra sul fatto che la protagonista ha solo 14 anni, poco più di una bambina, anche se nel corpo di una donna. Se si trova il modo per dire ‘era evitabile’, allora i ragazzi non sono più così colpevoli. È un modo per salvare l’onorabilità del paese“.
Una riflessione che pesa, e che evidenzia la radicata cultura dello stigma e della colpa sulla vittima, soprattutto nei contesti più piccoli e chiusi.
“Nessuno ci ha detto ‘mi dispiace’”: la solitudine della madre
“Non ho avuto solidarietà da parte di nessuno”, ha raccontato ancora la madre della giovane.
“Nessuno mi ha detto ‘mi dispiace per tua figlia’. Siamo stati abbandonati”.
Un dolore che si somma a quello della violenza. Una famiglia lasciata sola. Una ragazza che, nel momento più fragile della sua vita, è stata tradita due volte: dai suoi aguzzini e dal suo paese.