Res Tauro, Musolino su Piromalli: ‘Il boss con il ‘manto del lupo’ perchè circondato da agnelli’

La denuncia sullo stato di permeabilità del territorio: "La mollezza del tessuto sociale di Gioia Tauro mi preoccupa, come procuratore e come cittadino"

pm stefano musolino

Un “vecchietto” che torna dopo 22 anni di carcere. Ci si sarebbe aspettati il silenzio della vecchiaia, il ritiro tra gli affetti. Invece, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Pino Piromalli ha rimesso subito mano alle redini della cosca, indossando ancora una volta quello che lui stesso definiva il “manto del lupo”. E la città, racconta l’accusa, non solo non ha opposto resistenza, ma lo ha di fatto riconosciuto come vertice indiscusso.

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Il procuratore aggiunto: «Una dominanza senza ostacoli»

Nella conferenza stampa sull’operazione Res Tauro, il procuratore aggiunto Stefano Musolino non usa mezzi termini:

“Piromalli è tornato a essere ciò che ha sempre detto, il padrone di Gioia Tauro. Questo è stato possibile grazie a una sorta di mollezza del tessuto sociale, imprenditoriale e cittadino, che ha permesso al boss di riemergere senza contrasti”.

Musolino racconta un dato inquietante:

“Abbiamo accertato la sua dominanza senza ricevere una sola denuncia. In quattro anni, dopo oltre due decenni di carcere, è tornato a imporsi, segno che la comunità non ha saputo opporre alcuna forma di resistenza“.

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Un richiamo al territorio

Il magistrato si sofferma anche sulla reazione delle istituzioni locali:

“Dal Comune di Gioia Tauro è arrivato un comunicato anodino, prudente. Ci auguriamo che, alla luce di quanto emerge dall’indagine, si apra una riflessione diversa. Non basta limitarsi a parole generiche, serve prendere consapevolezza”.

Aste deserte e concorrenza bloccata

La forza intimidatoria della cosca, sottolinea Musolino, si misura anche in economia:

“Molte aste giudiziarie andavano deserte perché si sapeva che i Piromalli erano interessati. Persino fuori dalla Calabria, in Sicilia, la fama criminale bastava a bloccare la concorrenza”.

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«Non basta la repressione»

Per Musolino la lezione è chiara:

“La lotta alla ’ndrangheta non si fa solo con le operazioni repressive. Serve un tessuto sociale resistente. Se permettiamo che il “vecchietto” torni a comandare, siamo corresponsabili”.

E conclude con un appello:

“Non chiediamo eroismi. Chiediamo fiducia nelle istituzioni, nei Carabinieri, nella Procura, nelle forze di polizia. Ma i casi di vera resistenza sono ancora troppo rari. La speranza è che, dopo questa indagine, qualcosa possa cambiare”.