"Calabria, amara terra mia": la lettera di un docente UniCal

"La Calabria, amara terra mia. Era la celebrazione

“La Calabria, amara terra mia. Era la celebrazione delle sue origini che rappresentava Rino Gaetano in una sua vecchia canzone che faccio mia oggi più che mai.

Una regione stupenda, abitata da gente generosa, nonostante cresciuta in un carosello di storiche sofferenze, che offre oggi l’immaginazione di un colabrodo dai cui fori scorrono via i diritti civili e sociali, senza lasciare neppure un po’ del loro sapore in bocca alla collettività che ivi rimane. E ancora da dove defluisce l’emorragia di giovani che lasciano la loro terra così come fecero i loro nonni in cerca di pane, con la differenza di avere nello zaino una laurea, spesso conseguita con abbondante merito, che ha preso il posto degli utensili artigiani di allora. 

Da quei buchi dai quali vanno via 320 milioni di mobilità passiva che si registra annualmente nella sanità, sempre di più emigrante alla ricerca di cure (spesso apparentemente) migliori ma anche di una morte inevitabile con meno sofferenze e più dignità della persona. 

Insomma, vivere in Calabria è davvero difficile. Lo è sempre stato, tanto da registrare numerose e progressive abdicazioni alla cittadinanza relativa. Con una ‘ndrangheta che ti sta addosso, senza certezze infrastrutturali, con un rischio onnipresente di dissesto idrogeologico da fare paura, con scuole minacciate dai ricorrenti sismi, con amministrazioni locali assediate da default, con una sanità che per decenza non si aggettiva e con un’assistenza sociale che non esiste, è quasi impossibile provare a dissuadere i figli che affollano i blocchi della partenza per altrove. 

Ciò anche perché a chi rimane spesso per puro masochismo, è interdetta anche la speranza cui appellarsi. Caduta ogni certezza sulla quale potere contare, anche l’inguaribile ottimista calabrese è stato costretto a trasformarsi in sconfitto senza prova di appello. Ad ammettere la disfatta, a vedere progressivamente sgangherare la sua famiglia, privata dei figli che fuggono. 

A fronte di tutto questo, la solitudine. Le istituzioni litigano tra loro prima che con se stesse. Gli enti sono in mano ad una burocrazia decimata dai più bravi, incapace di affrontare e risolvere i problemi e soventemente corrotta. 

Per non parlare della politica, assente a tutti i livelli e ben lontana dall’interesse pubblico e dalle tutele che occorrerebbe garantire alla propria gente, ma soprattutto incapace nell’esercitare il governo che le compete, ovvero il ruolo costruttivo dell’opposizione che tiene alla collettività. 

Questo è il risultato che hanno generato le politiche nazionali e regionali, che hanno deluso irrimediabilmente e spogliato i cittadini di ogni difficile resistenza, non solo, continuano a farlo, perché sprovvisti della perspicacia necessaria “per cambiare il mondo” intendendo per tale la rovina nella quale pretendiamo di crescere i nostri figli e di convincerli a non abbandonare la loro terra e la comune famiglia. 

Un compito divenuto oramai impossibile in presenza del disastro progressivo di quelle categorie delle quali nessuno parla. Delle libere professioni, ove si arranca a sbancare il lunario e a pagare i contributi previdenziali. Dell’artigianato e del commercio di vicinato, distrutti e costretti a chiudere e non certo per ferie. Di un’agricoltura che si dice di salvaguardare salvo abbandonarla a se stessa. 

In fin dei conti, si  assisterà ad un popolo di lavoratori (divenuti molto precari!) in uscita che andrà, di qui a poco, ad infoltire i pretendenti percettori del “reddito di cittadinanza” che turberà mercati e genererà nuove perniciose “ricchezze” dei poveri, collocati nell’angolo, nell’emarginazione della ‘inoccupazione d’ufficio’. 

Nei confronti di questa nuova povertà, specie in ambiti territoriali, ove essa è da sempre strutturale, nulla potrà fare, infatti, la programmata Flat-Tax al 15% che consentirà prelevamenti fiscali agli autonomi percettori di reddito fino a 65mila euro. Ciò in quando un siffatto tetto reddituale, dalle nostre parti, è una peculiarità di pochissimi e certamente non dei giovani e un miraggio per (quasi) tutti. 

Conseguentemente, vedremo chissà per quanto il “bastimento” partire con i nostri figli a bordo”. 

Fonte: Corriere della Calabria – Ettore Jorio – Docente UniCal