6 su 1279, uno al mese. Viaggio nell'irrisorio aumento delle terapie intensive della Calabria tinta di rosso

Soltanto lo 0,4% dei posti in terapia intensiva aggiunti in Italia fra prima e seconda ondata è in Calabria: un dato che inchioda Arcuri e Cotticelli. E che, probabilmente, è la principale causa del lockdown…

Volge al termine il day-one del secondo lockdown in Calabria. Dopo le manifestazioni di ieri, nel cuore di Reggio, oggi la Regione ha vissuto più o meno ligiamente il suo primo giorno di serrata. Una blindatura, in ogni caso, che nessuno riesce a digerire.

Per analizzare le cause che hanno portato Conte e il Consiglio dei Ministri a blindare la quartultima regione italiana per diffusione del contagio da covid-19, potrebbero non bastare settimane o addirittura mesi. Sono tante le sfaccettature di una decisione che non è un eufemismo considerare come il peggior fallimento della Calabria nella storia (recente). Un fallimento, sì, di cui sono stati istantaneamente incolpati i governi regionali degli ultimi due decenni. Pur consci delle pesantissime e ingiustificabili responsabilità della politica locale, è altresì giusto guardare oltre, leggere i numeri e, evitando lo scaricabarile, chiedere conto anche ai personaggi scelti da Roma, da ormai 18 mesi, per salvaguardare e dirigere la (in)sanità calabrese.

Sono passati, infatti, ormai 18 mesi – da quel Consiglio dei Ministri tenutosi a Reggio Calabria il 18 aprile 2019 – dal commissariamento che ha visto Stefano Cotticelli assumere il management della gestione sanitaria regionale. Una guida, quella di Cotticelli, che non è stata affatto esente da critiche, in primis da parte della compianta ex Presidente Jole Santelli. È sui numeri, comunque, che ci si vuole concentrare.

In primis, sarebbe interessantissimo capire come sia stato possibile che la Calabria abbia attivato, a cavallo fra la prima e la seconda ondata, solamente 6 posti di terapia intensiva in più. Sul territorio regionale, infatti, si è passati dai 146 slot disponibili in rianimazione antecedenti lo scoppio della pandemia ai 152 attuali. Un aumento irrisorio, offensivo e vergognoso, sopratutto se rapportato al +1273 del resto d’Italia, tutti previsti dal Piano Arcuri.

Un piano, comunque, fallace anche a livello nazionale. Su tutta la penisola, infatti, i nuovi posti in TI sarebbero dovuti essere ben 3553, ovvero oltre 2200 in più di quelli effettivamente resi disponibili. Una mancanza, quindi, che ha ferito l’intero paese, con la Calabria, come fin troppo spesso siamo abituati, in coda alla classifica degli aumenti effettuati (6, come detto). Peggio hanno fatto solo Molise (+4, da 30 a 34) e Umbria (0, 7o posti).

Eppure sia Arcuri che Cotticelli di tempo ne hanno avuto. Questo dannato virus, nel suo essere diabolico, aveva quantomeno avuto l’accortezza di concedere una tregua, in estate. Una tregua che poteva e doveva essere sfruttata con ogni mezzo, per rafforzare le strutture sanitarie, specie in quei territori fragili. E chi, del resto, non è più fragile della Calabria?

L’aveva scritto la stessa Jole Santelli, prima di morire, a Giuseppe Conte.

Non m’interessa essere soggetto attuatore di un piano che non condivido, ma è necessario che i calabresi sappiano che il governo si sta assumendo tutta le responsabilità della gestione sanitaria del Covid in Calabria e che la Regione è stata totalmente esautorata. Mi spiace dopo mesi di leale collaborazione, ne prendo semplicemente atto.

Una sorta di predizione, quella della Presidente Santelli, che aveva messo in guardia su una situazione, in realtà, ben nota a tutti: l’inadeguatezza medica di una Regione a cui manca praticamente ogni cosa. In primis, forse, qualcuno di interno che ne gestisca in maniera onesta la Sanità. Cosa che non avverrà almeno fino al 2022, visto il rinnovo del commissariamento da parte del Governo col Decreto Calabria. Nel 2019, lo ricordiamo, l’intervento di Roma fu reso inevitabile dalle infiltrazioni – poi accertate – delle criminalità organizzata all’interno della gestione delle ASL locali. Un provvedimento giusto, che doveva ripulire un settore – come tanti – inquinato. Tuttavia, pur consapevoli delle difficoltà che un simile piano di rientro comportava, si richiedeva a Cotticelli di dare ai calabresi una dignità infrastrutturale ed organizzativa a livello sanitario.

Una dignità evidentemente calpestata dai recenti sviluppi, per responsabilità che è inevitabile siano anche di Arcuri e Cotticelli. Il primo chiamato a gestire l’emergenza pandemica. Il secondo a guidare fuori dal baratro un settore sanitario spolpato da criminalità e illegalità. Ma, perdonateci, cari commissari: non è altrettanto illegale – perlomeno a livello morale – chiudere una regione perché, in 6 mesi, si è riusciti ad attivare solamente 6 posti in terapia intensiva?

NB: tutti i dati riportati fanno riferimento alla data del 19 ottobre 2020.