R-Esistere per la dignità: l'Hospice raccontato dal direttore sanitario Ines Barbera

"È indispensabile ridisegnare un costruito su misura dei pazienti: tutti, compresi quelli inguaribili" le parole del direttore sanitario dell'Hospice

C’è un sole sfrontato, oggi, che abbacina la mia stanza e le carte che la sovrastano. Dalla finestra, a colpo d’occhio, si allarga nitido l’orizzonte dello Stretto, profilato da forme multicolori. Il Mongibello indossa i suoi abiti estivi e non vi è traccia di bianco lungo i suoi fianchi. È da oltre un decennio che questo studio, queste carte e questa luce accolgono e custodiscono confidenze, speranze, lacrime, rabbia.

Non un solo sguardo di quei visi smarriti, tuttavia, ha tralasciato di posarsi, anche solo per un attimo, su quell’orizzonte, facendosi trasportare da un lampo di meraviglia. Questa è l’immagine che, secondo me, rappresenta meglio “la bellezza collaterale dell’Hospice”.

Un luogo non di dolore, ma che accoglie il dolore. Un dolore inevitabile, causato dalla malattia e dal distacco. Emozioni degne di spazio e rispetto come tutte le altre, sentimenti da elaborare e non da sfuggire. Coacervo di percezioni che necessitano di calore e dignità.

Il servizio di cure palliative della nostra città è, ormai, ampiamente conosciuto, tanto che mi sembra inutile ripeterne gli aspetti tecnici. Quello su cui vorrei soffermarmi riguarda il paradosso Kafkiano sul “dare e ricevere” che da sempre accompagna la nostra attività.

“Esiste una stretta relazione tra la diminuzione delle richieste di eutanasia e il maggiore uso di trattamenti palliativi nei reparti ospedalieri dove vengono curati i pazienti terminali. Sono profondamente convinto che le richieste di eutanasia diventerebbero rarissime, quasi un’eccezione, se si facesse davvero tutto il possibile per alleviare le sofferenze dei malati inguaribili (…)

Il medico e l’infermiere devono riscoprire il loro ruolo millenario, che è quello di dare sollievo, di consolare, pensando che, se la guerra contro la malattia è perduta, pu  essere ancora vinta la battaglia per la salvaguardia della serenità del malato e della sua dignità. In questa battaglia la lotta contro il dolore assume la priorità, mentre diventa un imperativo etico abbandonare trattamenti ormai inutili.” Umberto Veronesi, Il diritto di non soffrire.

Queste semplici ma significative osservazioni mettono bene in rilievo come l’erogazione delle Cure Palliative sia espressione di civiltà e diritto di scelta della persona ammalata; non solo, ma rientra a pieno titolo tra i provvedimenti utili a contribuire al risanamento dell’annoso disavanzo che ammorba la Sanità Pubblica.

Qualcuno potrebbe inorridire nel vedere accostati i termini  “economia sanitaria” e “cure palliative”. Come si può  parlare di economia sanitaria dinanzi ad un problema etico così grande, come quello della malattia inguaribile? Eppure il nesso, oggi, è purtroppo indispensabile e tuttavia meno temerario di quanto possa sembrare. Le Cure Palliative rientrano in quel calderone che è la sanità pubblica, per i cui finanziamenti si discute continuamente in Parlamento (anche) e che sembrano non essere mai sufficienti.

Ma le Cure Palliative sono un LEA, ovvero un diritto sanitario di base, e si possono effettuare nella maggior parte dei casi a domicilio attraverso la rete territoriale, promessa importante –quest’ultima- nell’ottica di una ripresa economica del comparto sanitario. Il setting assistenziale di degenza, comunque, consente grazie al sistema low tech, high touch, un risparmio eccezionale sui costi giornalieri di ricovero. In un establishment sanitario traballante, il potenziamento della rete territoriale rappresenta del resto- un accorgimento vincente. Esso coniuga un’elevata qualità delle prestazioni con una spesa contenuta,  mediante l’abbandono dell’anacronistico modello assistenziale prevalentemente ospedalocentrico per i pazienti cronici, a favore di una adeguata ridistribuzione delle competenze sanitarie ed economiche più appropriate per i  pazienti acuti. Eppure, ad oggi, l’unica struttura reggina che eroga Cure Palliative domiciliari e che ha continuato a farlo anche durante l’emergenza COVID, a dispetto della sospensione di TUTTI gli altri servizi territoriali (pubblici e privati), si trova in assenza di una garanzia contrattuale sia per l’anno 2019 che per quello in corso.

Rimane, inoltre, sospesa in una bagarre economica legata ad una cifra irrisoria per le casse dell’ASP, ma fondamentale per la sopravvivenza del servizio e boccheggia – tra una donazione e l’altra – in attesa di un impegno che viene costantemente rimbalzato tra ASP e Regione. Altra nota di rammarico: il servizio è stato svolto a rischio e pericolo di operatori e pazienti,  sventato solo  grazie alla dedizione del Presidente della Fondazione, il quale, dopo aver ricevuto in risposta l’ennesimo “silenzio assordante” delle Istituzioni, ha provveduto filantropicamente- a dotare il proprio personale dei DPI necessari.

Nel corso degli anni, in questa nostra Terra “tarlata” dal piano di rientro, c’è stato un avvicendamento di competenze emule di Erostrato. Vani ed inascoltati i nostri appelli che chiedevano di avviare tavoli tecnici inter e multidisciplinari (in linea con il modello vincente perseguito dalla filosofia delle cure palliative, sic!), con l’obiettivo di giungere ad un progetto organizzativo efficace e razionalizzato. Eppure solo questo pu  essere il presupposto fondamentale per vedere la luce in fondo a questo lunghissimo tunnel!  Lo spreco di risorse e l’inadeguata gestione sanitaria, oltre ad essere antieconomiche, non sono etiche perché aumentano l’iniquità: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La sanità non puo’ essere gestita solo con strumenti economici e politici, ma deve lasciare spazio a coscienza ed etica. Chi lavora in sanità non puo’ non essere edotto sui loro significati, ancorché correlati con l’Economia. Quest’ultima non puo’ essere amministrata solo attraverso tagli, imbarazzanti rinvii ed inconsuete valutazioni delle priorità.

È indispensabile ridisegnare un costruito su misura dei pazienti: tutti, compresi quelli inguaribili.

L’alternativa è continuare a convivere con l’assenza della medicina preventiva per i cittadini sani, i bisogni sanitari  inevasi per i pazienti guaribili, fino a giungere allo scontro, in un prossimo futuro, con una realtà economica che, inevitabilmente, lascerà spazio anche a chi, in Oregon, ha valutato in 35 dollari la spesa da destinare al malato inguaribile… pari al prezzo di una siringa e dei farmaci letali in essa contenuti.

Direttore Sanitario Ines Barbera