Regionali Calabria, Lucano sull’incandidabilità: ‘Due pesi e due misure sulla legge Severino’

Il sindaco di Riace cita il caso Putzu nelle Marche e chiede una riflessione sulla norma: "È scritta male e genera disuguaglianze"

lucano tridico

Mimmo Lucano torna a parlare della sua incandidabilità, decisa sulla base della Legge Severino, e lo fa con parole dure attraverso un post pubblicato sui social. L’ex sindaco di Riace contesta l’applicazione della norma, definendola «arbitraria» e strumento usato contro di lui «perché fa paura».

Secondo l’ex primo cittadino, la norma così com’è formulata «favorisce i candidati vicini al potere del momento» e per questo «è il caso di aprire una seria riflessione sulla sua applicazione e reale efficacia».

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Il nodo della Severino

Lucano ricorda che la sua esclusione dalla competizione elettorale arriva in virtù dell’articolo 7 della legge, che impedisce la candidatura a chi è stato condannato in via definitiva a pene superiori a sei mesi per reati legati all’abuso di poteri o violazione dei doveri connessi a funzioni pubbliche.

«È sulla base di questa disposizione – sottolinea – che è stato deciso che io non potessi presentarmi al giudizio degli elettori».

Il caso Putzu nelle Marche

Nel suo intervento Lucano cita un precedente legato al consigliere regionale delle Marche Andrea Putzu, esponente di Fratelli d’Italia.

«Cinque anni fa – scrive – si trovava nella stessa condizione, avendo riportato una condanna definitiva a 8 mesi e 20 giorni per falso. Nonostante ciò è stato candidato ed eletto nel consiglio regionale nel collegio di Fermo».

Lucano evidenzia inoltre come il ricorso presentato dal primo dei non eletti, Saturnino Di Ruscio, non abbia avuto seguito:

«Il presidente del consiglio regionale delle Marche, Dino Latini, non ha dichiarato la decadenza di Putzu. Sarà ora l’autorità giudiziaria a stabilire se questo comportamento configuri un illecito».

«Norma da rivedere»

Il post si chiude con un appello alla politica: «La Legge Severino è scritta male. Così com’è genera disuguaglianze e favorisce alcuni a discapito di altri. È tempo di rivederne l’impianto».