Sanità Calabrese, sistema tra i più sgangherati d'Europa. E oggi ci facciamo i conti

Lunghissima la scia di disastri ed inchieste legati al mondo della sanità calabrese e reggina

Ospedali fantasma e omicidi in corsia, stipendi regolarmente pagati al personale incastrato da inchieste della magistratura e nomine à la carte da pescare nel proprio elettorato di riferimento: la sanità calabrese, e quella reggina in particolare, non si è fatta mancare proprio niente negli anni passati, e la conseguente retrocessione dell’interno territorio regionale, tra le zone a mobilità zero (o quasi) sancita dall’ultimo dpcm, rappresenta sono l’ennesimo tassello in un mosaico dai tratti vagamente surreali, costruito sulla salute e la pazienza dei calabresi.

Un mosaico tra le cui tessere sono evidenti gli inconfessabili interessi masso-mafiosi alla base di uno dei sistema sanitari più sgangherati d’Europa.

DA CICCIO MAZZETTA A MIMMO CREA

È lunga e paradossale la scia di disastri legati al mondo della sanità calabrese.

A partire da Francesco Macrì, passato alla storia come Ciccio Mazzetta, che dall’unità sanitaria locale di Taurianova che gestiva come se la stessa fosse una sua proprietà personale, era stato in grado di elevare a sistema un vortice impazzito fatto di assunzioni clientelari, spese da policlinico universitario d’avanguardia, e reparti cadenti oltre ogni limite di decenza.

Un sistema che ammantava e si estendeva a buona parte della provincia tirrenica reggina e che era riuscito a rimanere saldo e immutato per quasi un ventennio a cavallo tra i ’70 e gli ’80. Una situazione non molto diversa da quanto succedeva sull’altro versante d’Aspromonte, con l’ospedale di Locri – e la relativa Asl al cui interno era compreso anche l’ospedale di Siderno, chiuso ormai da anni – che per decenni è stato il personale parco giochi delle cosche della zona, che dentro la struttura di contrada Verga, dettavano legge e si occupavano di farla rispettare. La relazione del prefetto Basilone che sfociò nel secondo storico commissariamento per mafia dell’Asl locrese (il primo risale al 1989), portò alla luce un verminaio fatto di irregolarità amministrative e contabili così assurde da sembrare irreali. Una situazione paradossale venuta fuori solo dopo l’omicidio di Franco Fortugno (che all’ospedale di Locri era primario in aspettativa del pronto soccorso) e il successivo arresto di uno dei mandanti dell’omicidio, quell’Alessandro Marcianò che all’interno delle corsie del nosocomio lavorava come caposala.

E poi Mimmo Crea, il consigliere regionale subentrato in astronave a Fortugno e di cui i Marcianò erano grandi elettori, e che risulterà a capo di un gruppo che, attraverso forti legami con le cosche dei Cordì di Locri e dei Morabito-Zavettieri di Africo, era riuscito a condizionare fortemente il settore legato alle residenze per anziani. Per quell’inchiesta, l’ex consigliere è stato condannato a 7 anni e 6 mesi di reclusione.

DISASTRO REGGIO

Risale all’estate scorsa la proroga dell’ultimo commissariamento per mafia che si è abbattuto sull’Asp di Reggio Calabria.

I 18 mesi di reggenza della terna prefettizia non sono stati ritenuti sufficienti all’opera di pulizia necessaria all’ente per provare ad uscire dal baratro di disservizi in cui è stato precipitato e così i commissari rimarranno in città fino alla prossima primavera. L’ispezione che aveva passato al setaccio le carte dell’Asp aveva certificato «la forte penetrazione dei sodalizi malavitosi nella realtà economica e sociale del tessuto amministrativo locale» in particolare mettendo alla luce «l’accentuata propensione delle organizzazioni ‘ndranghetistiche ad ingerirsi nel settore della sanità pubblica al fine di orientarne la gestione delle risorse finanziarie a proprio vantaggio».

E poi i rapporti tra l’azienda e le strutture private accreditate e le farmacie che, certificarono le ispezioni, dimostravano

«l’assoluta mancanza di una corretta attività di pianificazione e il costante superamento dei limiti annuali di spesa, con una conseguente erogazioni di risorse finanziarie».

Fino alla scriteriata gestione contabile finanziario dell’intera azienda in cui gli ispettori riscontrarono la mancata approvazione dei bilanci a decorrere dal 2013, la mancata tenuta di scritture contabili obbligatorie e una forte esposizione debitoria», il tutto condito dal fatto che non esiste «esatta contezza dei debiti pregressi».

Niente male, considerato che il precedente commissariamento dell’Asp di Reggio, risale appena a 12 anni fa e che già a qual tempo, gli investigatori sottolineavano come il malaffare e le infiltrazioni della mafia avessero «pregiudicato il regolare funzionamento dei servizi costituendo pericolo per lo stato di sicurezza pubblica».