Versace contro il piano aree interne: ‘Il governo Meloni condanna a morte interi territori’
La denuncia del vicesindaco metropolitano: "Oltre 1.500 comuni destinati a sparire, 5 milioni di persone che vivono nelle aree interne a cui verranno negati diritti e risorse"
19 Luglio 2025 - 09:51 | Comunicato Stampa

“Il governo Meloni condanna a morte interi territori del nostro Paese. Oltre 1.500 comuni destinati a sparire, 5 milioni di persone che vivono nelle aree interne a cui verranno negati diritti e risorse.
Lo strumento di questo “killeraggio” è il “nuovo” Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne 2021/2027, scritto e prodotto nei nascosti antri di un ministero, senza alcuna trasparenza né confronto, come ben si addice ai colpi di mano”.
A lanciare l’allarme è il vicesindaco metropolitano di Reggio Calabria, Carmelo Versace.
“In questo documento di programmazione 2021-2027 lo Stato conferma l’attenzione verso le Aree Interne garantendo le necessarie risorse finanziarie tramite lo stanziamento di ulteriori 310 milioni di euro, ma nell’elenco delle tipologie degli obiettivi fissati nella prospettiva di rafforzare le condizioni, prevede l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.
Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.
“Così si legge nel punto numero 4 del documento e perciò, secondo il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, molti comuni delle aree interne che si trovano lontani dai centri dove si concentrano i servizi essenziali vanno semplicemente assistiti in un percorso di declino e invecchiamento e non possono aspirare ad una inversione di tendenza”.
Il Paese nella morsa del crollo demografico
Il Paese, nella morsa del crollo demografico, prende atto della condizione dell’Italia di dentro, e della forbice sempre più marcata tra l’osso e la polpa.
“È inaccettabile che il governo presenti come ineluttabile e necessaria quella che è una scelta politica precisa quanto scellerata: la riduzione di fondi per aree delle quali non si vuole riconoscere il valore e la necessità”.
Quanti anni sono trascorsi da quel particolare periodo in cui la pandemia pareva avere innescato un processo di nuovo interesse per la vita di comunità lontane dalle grandi aggregazioni metropolitane? Sembrerebbero secoli e non invece, come è stato, qualche anno.
Un altro aspetto che sfugge al governo Meloni riguarda il cambiamento climatico che negli anni porterà sempre di più ad una migrazione verticale della popolazione dalle città infuocate verso le aree collinari e montane.
Un fenomeno che, se regolamentato, potrebbe costituire un nuovo scenario di ripopolamento per le aree interne. Invece di prepararsi a questo, si chiudono tutte le possibilità.
Le aree interne del nostro Paese non devono diventare luoghi fantasma, ma un’opportunità: spazi accessibili e vivibili per tantissimi giovani. Ma perché ciò accada, servono visione, amore, risorse.
Serve un’azione comune da parte di noi amministratori locali al fine di respingere questo progetto devastante per i nostri territori. Le aree interne costituiscono il 60% del nostro Paese e non sono vuoti da riempire o cancellare ma costituiscono comunità e territori preziosi.
Un’azione corale dal basso
Serve un’azione corale che parta dal basso, il dato è allarmante per il nostro territorio dove i Comuni della Città Metropolitana inferiore ai 5 mila abitanti interessati da questo provvedimento sono circa il 75%.
Bisogna uscire dallo schema tradizionale dei partiti e chiedere conto alle forze di Governo presenti in parlamento affinché si rendano conto del danno che stanno causando al futuro, anzi al non futuro.
Questo documento non fa altro che mettere nero su bianco l’impossibilità, secondo il Governo, di una strategia utile a favorire la “restanza”, riconosce una sfiducia nelle nostre azioni, nelle nostre politiche di coesione e salvaguardia del territorio, si disinteressa delle persone, delle famiglie, dei sogni di quei giovani che intendono credere ancora nelle potenzialità di queste aree, di attività economiche che vengono abbandonate ad un tragico destino di affossamento.
In buona sostanza, tutti i nostri sacrifici, i nostri investimenti, il nostro tempo dedicato come amministratori locali per trattenere i nostri giovani o attrarne di nuovi vengono gettati al vento, scartati come spazzatura, pianificando una “dignitosa” decadenza, un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, una lenta agonia anagrafica e sociale abbandonando il sogno di un’opportunità e speranza di ripresa.
Le scelte politiche e le responsabilità
Nonostante gli importantissimi investimenti che con il PNRR si stanno facendo per colmare il gap con il resto del Paese, questo è il risultato.
Perché il Governo non recupera le risorse del fondo di coesione, tolti al sud per finanziare opere strategiche sul territorio? Perché li ha destinati esclusivamente alla faraonica realizzazione del ponte sullo Stretto? Perché si preoccupa di intervenire su aree strategiche e non si preoccupa invece di verificare ad esempio un dato importante come quello del livello sanitario in Calabria e, più in generale, di tutto il territorio nazionale, che non risponde più agli standard europei?
Questa non è la politica che ci piace, non è una politica costruttiva ma distruttiva, tale da rendere irreversibile il fenomeno dello spopolamento che per tanto tempo abbiamo combattuto investendo con risorse e tempo.
Tutto questo è inaccettabile: anziché alimentare speranza e fiducia si insiste sulla difficoltà e sull’impossibilità di fare interventi che possono cambiare in maniera radicale le cose.
Il problema non è solo di ordine strutturale, economico e demografico, ma è proprio di ordine antropologico-culturale e di creazione di una sorta di disaffezione ai luoghi da parte dei giovani che non trovano un buon motivo per restare, oltre alla mancanza di interventi che realizzino esperienze positive, in controtendenza rispetto allo spopolamento.
Non si dice ai giovani che hanno il diritto di restare, che possono impegnarsi e mobilitarsi per cambiare le cose. Non si dice ai giovani che possono avere la speranza di cambiare le cose, questa è una sorta di resa per paesi che sono moribondi ormai da circa settant’anni e che adesso stanno arrivando a una vera e propria morte.
In alcune dichiarazioni sembra quasi ci si rassegni a una sorta di eutanasia dei paesi, mentre bisognerebbe dire che i borghi hanno diritto di vivere anche se hanno un solo abitante, che semmai dovrebbero essere messi in condizioni di riprendersi.
Noi amministratori ci mettiamo la faccia, le aree interne non sono territori da accompagnare con rassegnazione verso il tramonto bensì realtà vive, ricche di risorse umane, ambientali e culturali, che aspettano solo di essere valorizzate con investimenti concreti, visione strategica e politiche coraggiose.
Il nostro compito è quello di rivendicare dignità, futuro e pari diritti per chi ha scelto e continua a scegliere di vivere e lavorare in questi territori.
Serve una visione lungimirante di sviluppo, bisogna investire in infrastrutture e servizi, promuovere politiche che incentivino il ritorno dei giovani, rafforzando la cooperazione tra Comuni e valorizzando le specificità locali.
È per questo che faremo fronte comune per combattere questo approccio, per annientare questa strategia di eutanasia sociale che tradisce il senso delle politiche di coesione, tradisce i nostri obiettivi, i nostri valori, la nostra storia che parte necessariamente da questi territori ora dimenticati.
Nei prossimi giorni mi farò portavoce di una mozione da portare al vaglio del Consiglio Metropolitano, provando a coinvolgere in primis l’assemblea dei sindaci metropolitani con un messaggio chiaro e deciso da destinare alla Presidente ANCI Calabria Succurro ed al Presidente della Regione Calabria Occhiuto, i quali devono necessariamente sposare questa causa provando ad andare oltre i dictat di partito, pensando agli interessi del territorio che rappresentano e delle tante popolazioni in attesa di un aiuto concreto contro questo atto scellerato.