Coronavirus, quando anche casa è lontana. Cronache di un fuorisede mai rientrato

L'epoca della pandemia. Vissuta anche da chi può essere vicino agli affetti soltanto col cuore

#RestateACasa. #StateaCasa. Insomma, la musica è quella. Quella ripetuta, a più riprese e senza soluzioni di continuità, dal Premier Conte. Dal Sindaco Falcomatà. Dai giornali, dalle tv, dalle radio. Dal panettiere, dal cassiere del supermercato, dal farmacista, unici che magari vorrebbero anche farlo ma non possono. Stare a casa a combattere, in un ossimoro paradossale come la situazione che ci troviamo tutti – davvero nessuno escluso – a vivere, il virus. Nemico invisibile, il Coronavirus, che non si vede, ma che avanza. Nè lentamente, né silenziosamente, perché il rumore delle morti è davvero troppo vivido per poterlo ignorare.

Eppure c’è chi a casa realmente non è. Perché casa è dove sono gli affetti, almeno quelli primari. E, in una società come quella attuale, capita che dagli affetti primari, specie in una terra come la Calabria, ci si debba separare. Per rincorre sogni, ambizioni o speranze di un futuro che, magari, una città come Reggio, meravigliosa e meravigliosamente piena di contraddizioni, non può offrire. Capita che un figlio, una moglie, un fratello o un padre debbano fare i bagagli e ricostruirsi altrove. Capita, capita spesso, specie a Reggio, specie in Calabria. E se in tanti, in quest’ondata di disperazione che ci ha colpito, hanno scelto di tornare, in molti hanno anche scelto – deliberatamente o magari no – di non farlo.

Per senso civico, magari, ma soprattutto per paura di poter portare inconsapevolmente il mostro proprio fra quelle quattro, amate, mura. Per contagiare una madre, un nonno, uno zio. O un conoscente. O tanti conoscenti. Perché, lo stiamo vedendo, l’avversario è subdolo e non opera distinzioni, di alcun tipo. Pur compiendo un sacrificio personale pesante. Perché è difficilissimo stare lontani, a maggior ragione quando tutto sembra pericolosamente in bilico. Ed un abbraccio con chi si ama sembrerebbe crocevia d’ogni male e sofferenza.

Ed allora, gli affetti si incontrano grazie alla tecnologia e le giornate trascorrono, lentamente, chiamando casa, accertandosi che vada tutto bene. Con una piccola stretta al cuore ogni qualvolta si domandi: “Come state?”. E con la stessa, di volta in volta immutata, gioia nel sentirsi rispondere “Tutto bene”. 

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