La Legge elettorale in Calabria non piace a nessuno: le falle di un sistema contorto e macchinoso

La legge viene criticata da tutti con elezioni blindate a vantaggio dei 'forti'. Le criticità e le possibili alternative

Incomprensibile, inqualificabile, contorta, assurda e ancora vergognosa e ‘spietata’.

Così viene definita dagli stessi candidati a consigliere regionale, la legge elettorale calabrese. Una norma ‘fatta con i piedi’ che consente a chi prende più di mille voti l’ingresso a Palazzo Campanella e invece lascia fuori dal Consiglio chi ad esempio, di voti, ne ha presi quasi dieci mila.

Una legge criticata da tutti

All’indomani dal voto alle elezioni regionali, la legge elettorale, è stata criticata da tutti, o quasi. Dalla destra, che accusa Oliverio di averla approvata, alla sinistra che promette di battersi in consiglio per modificarla.
Persino lo stesso ex presidente del Consiglio Nicola Irto, che di voti ne ha presi 10.333, critica la legge.

“Reggio ha il seggio più piccolo e la legge elettorale è pessima. E’ da anni che cerco di cambiarla ma nessuno mi segue”.

E così anche Lucano vede la porta di Palazzo Campanella chiusa. Nonostante le 9.779 preferenze (voti sommati delle tre circoscrizioni) niente ingresso in Consiglio regionale perché la sua lista si ferma al 2,39%.

Elezioni blindate, a decidere sono solo i ‘forti’

Insomma le elezioni sembrano essere sempre più blindate per chi non ha partiti forti e per chi decide di correre in solitaria. La legge elettorale infatti premia le coalizioni e chi ha più liste, di fatto, vince.

Una legge, definita dall’allora ministro per gli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, peggio e più schifosa del ‘porcellum’.

Tra gli aspetti più critici e contestati: la soglia di sbarramento troppo alta, un premio di maggioranza spropositato e una serie di possibilità d’incertezza del diritto, stante la mancata definizione della coalizione.

La legge elettorale calabrese anche questa volta dimostra e testimonia come sia stato reciso ogni legame tra la volontà del cittadino di esprimere il proprio candidato e la possibilità per il candidato più votato di sedere in consiglio regionale. Un distacco palese che pesa eccome ai fini di una decisione democratica e popolare.

Le criticità della ripartizione dei seggi

Tra gli aspetti più importanti, quello della ripartizione dei seggi.

Come noto la composizione del consiglio regionale vede oggi 20 seggi per il centrodestra, 7 per il centrosinistra (8se consideriamo Amalia Bruni in qualità di ‘secondo posto’) e 2 in quota de Magistris.

In funzione della popolazione inoltre il numero dei seggi è ripartito per le tre circoscrizioni: 9 per Cosenza, 8 per Crotone, Vibo e Catanzaro e 7 per Reggio Calabria. Sei infine attraverso il premio di maggioranza.

C’è dunque una doppia distribuzione dei voti, quella proporzionale che assegna l’80% dei seggi (24) e quello maggioritario che assegna il 20% dei seggi (6). Tali squilibri sono dovuti proprio a questo sistema in quanto nella quota maggioritaria si riqualifica il quoziente a favore dei grandi partiti. E dunque sono avvantaggiati i primi tre partiti delle coalizioni e sfavoriti, nel calcolo, i partiti minori.

Una legge elettorale complessa e macchinosa che, a causa della ripartizione con metodo proporzionale nelle 3 circoscrizioni previste (Nord, Centro e Sud), lascia uno strascico di insoddisfazione.

Collegio unico e revisione della quota maggioritaria le possibili soluzioni?

Ciò che non sembra digerire una buona fetta della politica dunque non è tanto la soglia di sbarramento del 4% di ogni lista o dell’8% delle coalizioni (abbastanza congrua per rafforzare le unità di proposte).

Bisognerebbe invece rivedere la quota maggioritaria e fondare e valorizzare il collegio unico. Queste due proposte potrebbero invece rappresentare la soluzione più adeguata, attraverso una sintesi tra i tre collegi riconvertendo il collegio unico.

Tali forti squilibri fra le circoscrizioni portano proprio al caso Giannetta (fuori dal Consiglio con quasi 10 mila voti).

Da notare inoltre come Cosenza, con soli 80 mila elettori in più, vede scattare consiglieri con sei mila voti. E ben 11 dei 30 consiglieri sono stati eletti nei collegi (seggi pieni con quozienti nelle circoscrizioni) ma con la riqualificazione del quoziente a livello regionale poi accadono cose che sembrano essere a dir poco ‘curiose’.

Il quoziente circoscrizionale dunque sarebbe discriminante se non addirittura ingannevole. In alcune province infatti la stessa lista ottiene effetti differenti ed estremamente rilevanti in termini di percentualità a seconda se è inserito o meno un candidato più forte.

In sintesi le soluzioni ci sono e potrebbero essere applicate a stretto giro se solo si volesse favorire il consenso popolare.

Il rischio è che ci sia sempre meno corrispondenza, alla luce dei tanti paradossi dell’ultima tornata elettorale, tra la volontà popolare e democratica degli elettori e l’espressione reale del consiglio regionale.