Come la pandemia ha distrutto il settore della ristorazione: persi 514 mila posti di lavoro

Per oltre il 60% dei ristoratori il calo di fatturato ha superato il 50% del volume d'affari dell'anno precedente

La fredda realtà dei numeri. Che la pandemia avesse distrutto l’occupazione, e in particolare il settore della ristorazione, era cosa nota. A confermarlo in tutta la sua brutalità arriva il Rapporto annuale sulla ristorazione in Italia per il 2020 di Fipe-Confcommercio (la Federazione italiana dei pubblici esercizi).

In 14 mesi sono stati bruciati 514mila posti, il doppio dei posti di lavoro creati tra il 2013 e il 2019, e per oltre 6 ristoratori su 10 il calo di fatturato ha superato il 50% del volume d’affari dell’anno precedente. Nel settore il 97,5% delle imprese ha perso fatturato nel 2020. La pandemia ha danneggiato gravemente 22.250 aziende della ristorazione che hanno cessato l’attività.

Costretti a casa dai lockdown, gli italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro.

Le ragioni di un crollo così fragorso sono ovviamente da ricercarsi principalmente nel calo della domanda a causa delle misure restrittive, sia sulle attività che sula mobilità delle persone (88,8%), nella riduzione della capienza all’interno dei locali per l’attuazione dei protocolli di sicurezza (35,4%) e nel calo dei flussi turistici (31,1%), in particolare quelli stranieri.

Luce in fondo al tunnel?

Con le riaperture, l’accelerazione del piano vaccinale,  l’abolizione del coprifuoco e l’entrata in vigore del Green Pass, si spera di uscire gradualmente da un tunnel oscuro lungo quasi un anno e mezzo.

L’85% dei bar e dei ristoranti si è detto sicuro che il settore riprenderà a marciare con decisione in tempi brevi, seppur non si conosca la vera data di fine emergenza. Il 72% degli intervistati pensa di tornare ai livelli pre-Covid nel 2022 (36%) o al massimo nel 2023 (36%). Il restante 28% è pessimista e vede la luce in fondo al tunnel nel 2024.