Prosegue al MArRC il ciclo di conferenze del CIS Calabria

Al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, per il ciclo di conferenze organizzate dallo stesso Museo e dal Centro Internazionale Scrittori della Calabria si è tenuto l’incontro “Ifigenia, la prima vittima di una guerra non ancora incominciata. Da Euripide a Ritsos”. Con il supporto di video proiezione ha relazionato Paola Radici Colace, prof. Ordinario di Filologia classica, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina, presidente onorario e direttore scientifico del Cis. Ha coordinato Loreley Rosita Borruto, presidente del Cis della Calabria. La conferenza “Ifigenia, la prima vittima di una guerra non ancora incominciata. Da Euripide a Ritsos” apre il ciclo dedicato a “Le donne e la guerra nel teatro greco”.

Se è vero che in nessuna società le donne vanno alla guerra, è pur vero che esse della guerra piangono non poche angosce. Ma in questo drammatico rapporto tra il femminile e la guerra la storia di Ifigenia è singolare: in una maniera che rimane un unicum, Ifigenia è la prima vittima di una guerra non ancora combattuta. Infatti non ha figli né mariti, data la sua giovane età, né perde il padre Agamennone, comandante della spedizione, che proprio grazie alla sua morte, invece, si conquisterà i venti favorevoli per dare inizio alla sua impresa. L’Ifigenia in Aulide di Euripide – ha affermato la relatrice – si può fondamentalmente suddividere in due parti.

La prima è basata su una sorta di commedia degli equivoci, in cui ognuno dei personaggi ha una diversa visione delle cose. La seconda parte della tragedia è dedicata all’analisi della psicologia dei personaggi, i quali hanno tutti una caratteristica fondamentale: pur essendo alcuni tra i più grandi eroi della mitologia greca, essi appaiono impotenti ed incapaci di intervenire in maniera fattiva nella vicenda. Di fronte alle lusinghe del potere ogni scrupolo etico scompare ed i personaggi si comportano da veri pusillanimi, accettando che una ragazza innocente dia la propria vita per i loro interessi.

Attirata nell’accampamento per andare sposa al valoroso Achille, Ifigenia si rende subito conto che questo è un imbroglio del padre, deciso a sacrificarla sull’altare per la sua ambizione. Invano la ragazza tenta con le sue tenere parole di figlia di smuovere i sentimenti d’amore del padre, dilaniato da una cieca brama di potere e preda di inconfessati ricatti. Infine, acconciata per il suo ultimo viaggio con quello che sarebbe dovuto essere il suo velo da sposa, Ifigenia muove con fierezza innaturale verso la morte, convinta di dover dare anch’ella un contributo alla Grecia.

Per un disegno divino, Ifigenia è sostituita sull’altare da una cerbiatta e, rapita da Artemide, viene portata come sua sacerdotessa nel paese dei Tauri. Ma un insperato evento le consente di abbandonare il paese dei Tauri, e finalmente Ifigenia è libera di tornare. I drammaturghi greci non hanno mai raccontato il ritorno. Dopo 25 secoli lo scrive Ghiannis Ritsos, schiacciando l’ansia ed il desiderio di Ifigenia contro il muro del tempo, che è passato per lei, ormai donna matura e sfiorita, il suo passato fatto di ricordi ed emozioni si amalgama in una sospensione di oppressione e turbamento. In Ritsos prevale la consapevolezza dell’assurdità e vacuità dell’uomo.